L'editoriale del direttore
Un 25 aprile nelle aule giudiziarie. Il nuovo fronte di resistenza della magistratura
L’ideologo di Magistratura democratica ambisce a diventare il contraltare del governo, anche a costo di esercitare esplicitamente un potere di supplenza nei confronti della classe politica. Brividi
Che succede alla politica se le correnti di sinistra della magistratura dovessero trovare un nuovo terreno fertile per costruire una nuova resistenza, facendo vivere lo spirito del 25 aprile nelle aule giudiziarie? Piccolo passo indietro, prima di arrivare all’arrosto. Avete visto ieri cosa è successo: la maggioranza di governo, alla Camera, ha dimostrato ancora una volta di essere la peggiore nemica di se stessa e come è già successo in altre occasioni ha ricordato al mondo politico che, in assenza di un’opposizione tenace, i pericoli veri per il fronte di governo continuano ad arrivare dagli sgambetti che l’esecutivo continua a fare a se stesso. La notizia la conoscete: la Camera, clamorosamente, ieri ha bocciato una risoluzione speciale, per la quale era richiesta una maggioranza qualificata, una risoluzione legata al Def, il Documento di economia e finanza, con la quale si doveva autorizzare l’indebitamento dello stato.
Se si fa però un passo lontano dal Parlamento, uscendo per un istante dall’irresistibile tentazione della maggioranza di cavalcare l’agenda Tafazzi (che, per chi non se lo ricordasse, è il mitico personaggio interpretato da Giacomo Poretti, solito mostrarsi in giro con una dura bottiglia di plastica utilizzata per darsi randellate da solo in mezzo alle gambe), non sfuggirà che i governi che hanno almeno sulla carta maggioranze solide e che almeno sulla carta hanno premier che danno tutta l’impressione di poter durare a lungo a un certo punto della loro storia si ritrovano a fare i conti con avversari speciali, e molto minacciosi, di natura per così dire extrapolitica. E al netto dei guai sul Def, il problema di fronte al quale prima o poi potrebbe ritrovarsi il governo Meloni coincide con un terreno scivoloso su cui hanno dovuto muoversi molti degli ultimi premier politici avuti dal nostro paese: la volontà della magistratura di mettere in moto solidi meccanismi per diventare un valido contraltare del potere politico di turno.
Il pretesto per ragionare attorno a questo tema delicato, ma concreto, lo offre un editoriale interessante vergato dal direttore di una delle riviste più famose tra le correnti della magistratura: Questione Giustizia. La rivista è l’organo ufficiale con cui comunica Magistratura democratica, una delle correnti della magistratura più famose del paese. L’editoriale in questione è firmato da Nello Rossi, già presidente di Magistratura democratica, già segretario dell’Associazione nazionale magistrati e già componente del Consiglio superiore della magistratura. E le parole di Nello Rossi, magistrato che per altro in passato si è distinto per essere persino un garantista, somigliano molto non a una chiamata alle armi, questo sarebbe troppo, ma a un tentativo di individuare un fronte compatto su cui costruire una solida forma di resistenza per salvare il paese dall’ascesa dei nuovi poteri, anche a costo di esercitare esplicitamente un potere di supplenza nei confronti della classe politica. “In moltissimi capi della vita sociale ed economica – scrive Rossi – è il giudiziario ad intervenire in esclusiva, o almeno in prima battuta, nella ricerca di soluzioni di problemi inediti talora incancreniti dalla paralisi e dall’inerzia della politica”. E per poter offrire, da magistrati, “un ruolo di garanzia dei diritti e della dignità delle persone e delle molte minoranze che popolano le moderne società” l’ex capo dell’Anm individua una piattaforma precisa. “In società in cui ciascun individuo può ritrovarsi a far parte di una delle molte minoranze che compongano la collettività è fortissima l’esigenza di una magistratura che assolva un incisivo ruolo di garanzia dei diritti individuali e della dignità delle persone”.
E per fare questo, occorre presidiare con forza alcuni temi, alzando con intelligenza le antenne. “A mero titolo di esempio – scrive Rossi – penso all’affermazione di diritti dolorosi come quelli relativi al fine vita; alle soluzioni offerte sul terreno dell’eguaglianza di genere; alla protezione di diritti umani fondamentali come nel caso dei migranti; alle azioni a tutela dei risparmiatori e delle finanze pubbliche in contesti finanziari sempre più complicati e vorticosi; agli interventi sulla condizione dei lavoratori marginali, come i rider o i lavoratori della logistica”. Per portare avanti questo progetto, dice ancora Rossi, il magistrato non può pensare di essere un semplice passacarte, un freddo tutore dell’ordinamento giudiziario, ma deve rivendicare il suo ruolo speciale nella società, anche a costo di allargare il perimetro delle proprie prerogative: “La Costituzione non indica più una direttrice di marcia univoca nel cui solco il giudiziario possa identificare una sua funzione unitaria, storica. Ma restano fortissimi i bisogni di tutela della persona e di garanzia delle molte minoranze di cui si compone la società. Una funzione di garanzia che, ancora una volta, – in questo gli insegnamenti degli anni 70 sono attualissimi – non può essere assunta da un magistrato burocrate e che, ancora una volta, richiede che l’interprete attinga nel compiere le sue scelte a valori indicati nella carta costituzionale e nelle carte dei diritti che si sono venute affermando”. Alzare le antenne per individuare i nuovi fronti su cui far sentire con forza il peso morale e non solo morale del mondo della magistratura. In un momento in cui le correnti si riorganizzano, Rossi, da fine giurista di sinistra, indica ai colleghi una nuova linea per mettere in campo una nuova forma di resistenza. Chi pagherà le conseguenze di questo possibile nuovo attivismo lo scopriremo presto.
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