(foto Ansa)

l'intervista

“La Trattativa? Un romanzo che ha rovinato la vita a molte persone”. Parla Violante

Luca Roberto

L'ex presidente della Camera: "Speriamo che le assoluzioni in Cassazione servano a lasciarci dietro un metodo: la prevalenza delle idee sui fatti"

La Trattativa è sempre stata solo la narrazione di uno stereotipo che ha preso piede dopo le stragi del ‘92: giudici onesti e indifesi contro politici corrotti. Si è partiti da un preconcetto, si è data fede a Ciancimino e si è andati alla spasmodica ricerca di fatti inesistenti. Con la sentenza della Cassazione che pone fine alla vicenda speriamo di esserci lasciati alle spalle un metodo: la prevalenza delle idee e dei convincimenti personali sui fatti”. Luciano Violante la stagione delle stragi di mafia, dal 1992 in avanti, l’ha vissuta in un ruolo apicale com’è la presidenza della commissione parlamentare Antimafia. E’ un ex presidente della Camera, uomo delle istituzioni, riconosce che la storia è fatta anche di zone grigie. Eppure nei confronti del processo imbastito a Palermo per ricostruire i presunti indicibili accordi tra criminalità organizzata e politica ha sempre nutrito una certa diffidenza.  “Anzitutto, non mi è mai piaciuto sentir parlare di trattativa, senza prove. In secondo luogo, un negoziato, una forma di mediazione c’è stata, ma non ha riguardato la politica; ha riguardato un tentativo di negoziazione tra polizia e mafiosi. Anch’io mi faccio domande su alcuni fatti storici che meriterebbero una spiegazione, un supplemento di analisi, come ad esempio la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, che ha riguardato professionisti di prim’ordine. Ma tutt’altro discorso è mettere sul banco degli imputati l’intera classe politica, senza prove, tentando di costruire un coinvolgimento ad altissimi livelli, per compensare l’assenza di fatti”.

 

In controtendenza con questo principio di buonsenso, è successo che lo stesso Violante, insieme a ministri della Repubblica, insieme allo stesso ex capo dello stato Giorgio Napolitano, siano stati coinvolti come teste nel processo sulla Trattativa. Giovedì, con l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” nei confronti degli ex carabinieri del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, assoluzione estesa anche all’ex dirigente di Forza Italia Marcello Dell’Utri, s’è capito forse con vent’anni di ritardo quanto e come ci sia stato poco rispetto per una sana contrapposizione tra la linea dell’accusa e le linee della difesa degli imputati. Quanto, in definitiva, il dibattito pubblico fosse sbilanciato su quel che spandevano i pubblici ministeri in tv e sui giornali. “C’è stato un intreccio pericoloso tra sistema giudiziario e sistema mediatico. Se ci pensiamo non è stata una deriva della giustizia, che in sostanza ha dimostrato di funzionare, smontando tesi insussistenti. Bensì del cortocircuito mediatico. Perché i media avrebbero dovuto rivendicare un’indipendenza rispetto alle procure, non limitarsi a pubblicare quanto gli veniva passato, senza fare proprie autonome verifiche”, analizza Violante. “Questo non è vero giornalismo, è giornalismo da riporto. I giornalisti devono controllare tutti i poteri, compreso quello giudiziario. E non mi ha sorpreso che alcuni dei cantori della cosiddetta Trattativa adesso stiano manifestando un certo imbarazzo”. 

 

Eppure tirare in ballo chi deteneva le redini del governo faceva troppo gola perché chi ha creduto alla linearità di questo processo potesse tirarsi indietro dal farlo. “Ripeto, il problema principale è stato credere che le idee, i pregiudizi, avessero la preminenza sui fatti. In un certo senso, sembra che si siano piegati i fatti per la ricerca disperata della conferma delle proprie tesi. E’ un processo partito da un’idea politica, i cui principali sostenitori hanno abbandonato la trincea. Ingroia per la politica e Di Matteo per il Csm”. Diciamo che la Trattativa è servita anche da grande indotto pubblicistico-narrativo. Forse l’unico vero lascito ora che le sentenze hanno cancellato la quasi totalità di quella narrazione a senso unico è un invito alla prudenza professionale per magistrati e giornalisti. “Ma un retropensiero mi rimane”, confessa allora l’ex terza carica dello stato. “Certo è che la risonanza mediatica che hanno avuto è stata anche un modo, il più facile, per farsi notare”.

 

Sui giornali, nelle trasmissioni televisive, si continuerà a parlarne come se una trattativa ci sia stata, incuranti delle sentenze scritte nero su bianco? “Questo non lo so, ma essendo la Trattativa diventata una specie di spettacolo, di genere a sé, non mi sorprenderebbe. E’ sempre stata una storia che si prestava a una narrazione, e le narrazioni piacciono. Solo che le narrazioni poco hanno a che fare con il giornalismo, men che meno con i processi. Forse lo ricorderemo solamente come un grande romanzo, che ha rovinato vent’anni di vita a molte persone”.

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