Il caso
Assolti dopo 12 anni e mezzo: si può chiamare ancora giustizia?
Due ex funzionari pubblici di Prato sono stati scagionati dall'accusa di omicidio colposo plurimo per la morte di tre donne avvenuta nel 2010 in un sottopasso allagato. Uno di loro racconta al Foglio il suo calvario
Immaginate di essere dei funzionari pubblici e di essere accusati, da innocenti, di omicidio colposo plurimo per un incidente avvenuto in città. Immaginate di essere sottoposti a un processo penale lungo dodici anni e mezzo, rilanciato con grande enfasi dagli organi di informazione. Immaginate di essere condannati in primo grado e di essere assolti in appello, ma che tra la sentenza di condanna e la fissazione della prima udienza d’appello trascorrano sei anni di vuoto, di nulla, a causa dell’ingolfamento della macchina giudiziaria. Questo è ciò che è avvenuto agli ingegneri Lorenzo Frasconi e Stefano Caldini (il primo ex dirigente del servizio mobilità del comune di Prato, il secondo ex direttore dei lavori di Ferrovie per lo stato), imputati per la morte di tre donne cinesi annegate nell’ottobre del 2010 in un sottopasso della città di Prato, allagato a causa dell’esondazione del torrente Vella dopo una bomba d’acqua.
La settimana scorsa, la corte d’appello di Firenze ha assolto con formula piena per non aver commesso il fatto sia Frasconi che Caldini, ribaltando la sentenza del tribunale di Firenze che nel dicembre 2016 aveva condannato entrambi, rispettivamente a due anni e a un anno e otto mesi di reclusione, con l’accusa di omicidio colposo plurimo. Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 2010 tre donne di 50, 42 e 24 anni morirono tragicamente nel sottopasso ferroviario di Via Ciulli. Le vittime imboccarono con la propria auto il tunnel, diventato improvvisamente un muro di acqua e fango a causa dell’esondazione del torrente Vella in seguito a una pioggia straordinaria (96 millimetri in due ore e tre quarti). I pubblici ministeri hanno provato a mettere in dubbio l’imprevedibilità dell’evento, addebitando le colpe per la morte delle tre donne a chi all’epoca rivestiva il ruolo di dirigente comunale della mobilità (Frasconi) e chi nei primi anni novanta era stato direttore dei lavori del sottopasso (Caldini).
L’accusa ha retto in primo grado, ma non in appello. Nonostante i termini di prescrizione del reato fossero già stati superati, i giudici d’appello non si sono limitati a constatare l’intervenuta prescrizione, ma hanno deciso di esprimersi nel merito, accogliendo con formula piena le richieste di assoluzione dei legali, gli avvocati Olivia Nati e Sigfrido Fenyes. Troppo straordinario e imprevedibile l’evento della bomba d’acqua per addebitarne le conseguenze agli imputati. Le famiglie delle vittime hanno nel frattempo raggiunto un accordo con il comune per il risarcimento dei danni in sede civile.
“Sono molto contento perché ho trovato dei giudici in corte d’appello che hanno ascoltato le motivazioni avanzate dal mio difensore, che in primo grado erano state invece completamente disattese dal giudice, che si era adagiato all’impostazione della procura”, afferma Frasconi al Foglio, accennando ai risvolti causati da una vicenda giudiziaria durata così a lungo: “Nel corso del processo sono andato in pensione. Dopo la sentenza di condanna avrei potuto portare avanti una libera attività professionale, ma non me la sono sentita proprio perché mi pesava il pensiero del reato che mi si addebitava. Mi sono dedicato ad altre cose”. Intanto molto soddisfatta si dice la legale di Frasconi, l’avvocato Olivia Nati: “L’aspetto più eclatante di questa vicenda è legata al fatto che, pur a fronte di una prescrizione maturata, la corte d’appello ha accolto l’impostazione della difesa, approfondendo gli aspetti carenti e deficitari del giudizio di primo grado e assolvendo nel merito gli imputati per non aver commesso il fatto”.
Anche per l’avvocato Sigfrido Fenyes, legale di Caldini, “la decisione della corte d’appello di Firenze rende giustizia dopo tanti anni”. Resta però la sensazione di aver assistito all’ennesima ricerca del colpevole per una tragedia causata da un evento imprevedibile. “Siamo al panpenalismo – dice Fenyes – L’assenza della politica in settori che avrebbero necessità di progetti responsabili fa sì che questi vuoti vengano colmati, in maniera inconcepibile e inaccettabile, dalla magistratura, per la precisione dai pubblici ministeri”.