Parla il Garante dei detenuti
Due detenuti morti in sciopero della fame. "Appelli sui casi eclatanti, resta la disperazione delle carceri"
Dopo il caso Cospito è tornato il silenzio. "Sembra quasi ci sia una volontà di tenere nascosti alcuni fatti", dice Mauro Palma, sulla scarsa trasparenza all'interno dei penitenziari italiani. E poi ci sono i suicidi. Da inizio anno già 21
Dopo i sei mesi di digiuno dell'anarchico al 41bis Alfredo Cospito, di detenuti in sciopero della fame non si è più parlato. Come se quel tema - e quello delle condizioni di detenzione - non fosse più un problema. D'altra parte, “l’opinione pubblica tende a concentrarsi sui casi eclatanti. Quelli per i quali gli intellettuali firmano appelli e si mobilitano", dice al Foglio il Garante delle persone private della libertà, Mauro Palma. Che puntualizza: "Tutte cose giuste, però poi resta la disperazione per la situazione nelle carceri”. Che è quotidiana, va oltre la notizia o le prima pagine dei giornali, e invece “resta confinata negli stessi piccoli ambienti che di questo si occupano”.
E così è solo grazie alla denuncia dei sindacati di polizia che, ieri, l'Italia è venuta a sapere della morte di due detenuti reclusi nel carcere siciliano di Augusta mentre erano in sciopero della fame. Si tratta di un russo e di un italiano. Il primo aveva smesso di mangiare da 41 giorni: condannato all’ergastolo, chiedeva di essere estradato nel proprio paese sin dal 2018, è morto in ospedale il 9 maggio. Il secondo protestava da 60 giorni, in quanto riteneva di essere vittima di un’ingiusta condanna: la sua morte risale ad aprile. “Sembra quasi ci sia una volontà di tenere nascosti alcuni fatti. In fondo anche Cospito ha interrotto lo sciopero della fame quando la sua battaglia sul 41 bis ha trovato riscontro esterno”.
Il garante richiamare quindi l’attenzione “sulla necessità della completa informazione che deve fluire dagli Istituti penitenziari all’Amministrazione regionale e centrale affinché le situazioni problematiche possano essere affrontate”. Sulla trasparenza e sull'attenzione che troppo spesso manca, per quella che è ormai da anni una emergenza strutturale. “C’è questa tendenza dell’amministrazione di tenere tutto al proprio interno, senza capire che invece aprirsi verso l’esterno aiuta anche loro”, spiega ancora il Garante. “Sembra ci sia una sorta di timore verso l’opinione pubblica. E invece serve sapere”. Perché, è il ragionamento, affrontare certe questioni può aiutare a prevenire gli esiti più tragici, oltre agli annosi problemi delle carceri italiane, dove l’anno scorso si è raggiunto il record di suicidi: ottantacinque. Dall'inizio del 2023 sono già 21. “Chi sta in sciopero della fame non si sta suicidando: chi protesta in questo modo non cerca la morte, ma l’interlocuzione sul suo problema”, continua Palma. E parlarne aiuta non solo i detenuti, che vedendo riconosciuta una loro istanza, ma anche chi lavora nelle carceri.
Così mentre alcune vicende vengono piegate e strumentalizzate dalla bagarre politica fine a se stessa, rimangono le difficoltà quotidiane. La percezione di uno scarso interesse al tema tuttavia rimane inalterata. Se n’era parlato, per pochi giorni, in occasione della legge di Bilancio e dei tagli denunciati dalle opposizioni sul tema del carcere. “Io stesso ero stato inizialmente critico", ammette Palma. "Ma tagli veri non ce ne sono stati, quelli che sono individuati come tagli, che erano minori, avevano un valore più simbolico che effettivo. E altre risorse, più o meno equivalenti, sono state destinate”.
Si tratta insomma di un atteggiamento strutturale, che non ha colori politici. E vale anche per il governo Meloni “La sensazione è che la maggioranza attuale non sia più disattenta di altre. Certo non c’è un’attenzione maggiore”. Sarebbe necessaria, anche a fronte del record di suicidi dello scorso anno? “Sì, c’è però una buona iniziativa da parte dell’amministrazione penitenziaria: aver chiesto a tutti gli istituti dove si sono verificati suicidi negli ultimi 3-4 anni della relazioni per analizzare, caso per caso, i fatti e capire le criticità che portano a questo gesto estremo”.
Va aggiunto che le ragioni che possono condurre al suicidio sono spesso personali e imputare ogni tragedia all’Istituzione carcere in quanto tale rischia di essere riduttivo. In questo senso, per Palma le strade da seguire sono due. Da un lato, l’amministrazione può intervenire “sul piano dell’indicazione interna, invitando gli istituti penitenziari a una maggiore fiducia verso l’esterno. In alcune realtà questo già accade”. Dall’altro, e sarebbe questo il principale strumento, “bisogna inserire molte più figure di tipo sociale nel carcere che, come del resto la realtà esterna, ha una complessità sempre maggiore. Lo vediamo nelle città e nelle periferie. Tanto più tra i detenuti. E allora – conclude il Garante dei detenuti– occorre investire su queste professionalità. Perché altrimenti tutto il peso ricade su quelli che avrebbero compiti di sicurezza e che non sono formati in tal senso”. Con le problematiche che si ripresentano e le solite, ricorrenti, tragedie.