Il caso
La casa “degli orrori” non esisteva: assolti a Gorizia dopo otto anni
I medici e gli operatori sanitari della casa di riposo “Contessa Beretta” di Farra d’Isonzo sono stati tutti assolti dalle accuse di maltrattamenti. Alcuni di loro finirono ai domiciliari
Venne definita “la casa degli orrori”. Sui giornali si parlò di “botte, insulti e ricatti nella casa di riposo”. Di maltrattamenti nei confronti di pazienti anziane. Addirittura di torture. Non era vero niente. Dopo quasi otto anni i medici e gli operatori sanitari della casa di riposo “Contessa Beretta” di Farra d’Isonzo, in provincia di Gorizia, sono stati tutti assolti. Alcuni di loro finirono anche agli arresti domiciliari. Quasi otto anni per arrivare a una sentenza di primo grado, che assolve tutti gli imputati con la formula piena “perché il fatto non sussiste”: le operatrici sanitarie Gina Liliana Sorescu, Tamara Shkrebtii, Ecaterina Barbos e Serena Zotti, e la direttrice Sonia Corbatto. Nei loro confronti il pm aveva chiesto condanne per complessivamente 19 anni e 5 mesi. Altre accuse, mosse secondariamente, come truffa e falso relative alle certificazioni sociosanitarie degli ospiti della casa di riposo, sono state dichiarate prescritte.
La casa di riposo, intanto, non esiste più: venne chiusa subito dopo l’emergere della vicenda nell’ottobre 2015. Troppo pesanti le accuse mosse dagli inquirenti ed enfatizzate dagli organi di informazione. L’ordinanza di misura cautelare evidenziò l’uso di “metodi violenti e vessatori” adottati nei confronti di alcuni dei tredici pazienti ricoverati nella struttura. Nell’ordinanza il gip fece riferimento a un “modus abituale caratterizzato da sopraffazioni, ricatti, costrizioni e offese, impositivo di un regime di vita mortificante e avvilente agli anziani ospiti della struttura”.
“La casa degli orrori non esiste e non è mai esistita”, dichiarano in una nota gli avvocati Paolo Marchiori e Marzia Como, legali di Zotti. “Il tribunale di Gorizia – proseguono – ha emesso sentenza di assoluzione con la formula ‘il fatto non sussiste’ per tutti gli imputati del reato di maltrattamenti. La decisione finalmente restituisce la verità. L’impianto accusatorio non ha retto al dibattimento e alla lettura corretta dei fatti”. Interpellata dal Foglio, l’avvocato Marzia Como si è limitata a ribadire l’estraneità di Zotti dalle accuse e un episodio molto particolare, che forse avrebbe consentito di chiudere la vicenda molto prima: “Nell’incidente probatorio del 2015, un’anziana ospite della casa di riposo chiese espressamente di poter salutare e abbracciare la nostra assistita, dicendo che le voleva tanto bene”. Altro che maltrattamenti. La donna, però, in tutti questi anni ha dovuto convivere con lo stigma di “mostro”.
Soddisfazione viene espressa anche dall’avvocato Massimo Bruno, legale di Sorescu, per “l’esito di un processo lungo e faticoso, che ha provocato disagi e danni a tutti i soggetti coinvolti, imputate e ‘persone offese’: per le imputate perché hanno perso otto anni fa il lavoro e hanno dovuto affrontare un iter processuale difficile e costoso; per le ‘persone offese’ perché loro e le loro famiglie hanno dovuto affrontare il trasferimento ad altre strutture con mutamento delle abitudini e della loro vita”. “Ci sono voluti otto anni per chiudere una vicenda che non doveva neppure iniziare”, conclude Bruno.
A perdere sono stati anche i cittadini: non solo perché la casa di riposo è stata chiusa appena esploso il “caso”, e dunque sottratta alla piccola città di Farra d’Isonzo (in una dichiarazione rilasciata al quotidiano Il Piccolo, il sindaco di Farra d’Isonzo, Stefano Turchetto, ha ammesso: “E’ vero, abbiamo perso una struttura d’eccellenza”), ma anche per i costi affrontati dalla magistratura per portare avanti le indagini, basate sull’uso di una grande mole di intercettazioni ambientali (in diversi casi rivelatesi poco affidabili), oltre che sequestri di documenti. Senza considerare i quasi otto anni di procedimento penale. Uno spaccato inquietante del malfunzionamento della giustizia italiana.