L'intervista
La persecuzione giudiziaria contro il Cav. vista da una toga
“Dopo le elezioni del 1994 in tribunale vidi facce da funerale”. Parla l’ex giudice Renato Bricchetti: “Alcuni magistrati hanno fatto carriera grazie ai processi contro Berlusconi”
"La parola accanimento non mi piace, ma una particolare attenzione politico-giudiziaria verso Berlusconi da parte della magistratura indubbiamente c’è stata”. Così, intervistato dal Foglio, Renato Bricchetti, tra le figure più autorevoli della magistratura (già giudice al tribunale di Milano, presidente di sezione e poi vicario della Corte d’appello milanese, magistrato di Cassazione, componente di varie commissioni ministeriali), commenta il rapporto intercorso negli ultimi trent’anni fra il mondo della giustizia e Silvio Berlusconi, scomparso ieri. Possiamo dire che il Cav. ha fatto parte della storia della giustizia italiana, non crede? “Bisogna chiedersi se più che farla l’ha subita”, puntualizza Bricchetti.
“Personalmente – aggiunge – sono rimasto molto perplesso, dal punto di vista giuridico, sulla conferma in Corte di cassazione della condanna ai suoi danni per frode fiscale”. E’ stata l’unica condanna subita da Berlusconi, che nel corso della sua vita è stato imputato complessivamente in trentasei procedimenti penali, ciascuno con i vari gradi di giudizio. Nella sua lunga carriera ha mai visto una persona oggetto di tale attenzione giudiziaria? “Sì i truffatori seriali, perché fanno tante truffe e quando finalmente vengono giudicati da una Corte vanno a farli in un altro territorio”, risponde Bricchetti. Ci sta dicendo che Berlusconi è stato trattato come un truffatore seriale? “Certamente – risponde l’ex presidente di sezione di Cassazione – ma con la differenza che non c’era bisogno di andare a cercare i fascicoli negli armadi della cancelleria.
Poi lei sa benissimo che ormai la giustizia in Italia non sono i processi ma le indagini. Questa è l’immagine della giustizia che ha il cittadino medio. L’indagine costituisce il processo e determina la condanna all’ignominia. Infatti Berlusconi è stato condannato più volte dall’opinione pubblica”.
“Nel 1994, il giorno dopo che Berlusconi vinse le elezioni politiche, in tribunale vidi un sacco di facce da funerale, tanto che chiesi cosa fosse successo”, racconta Bricchetti. Che ragione si è dato di quelle facce cupe? “Evidentemente era un giudizio politico. Molti magistrati danno giudizi politici”, afferma. Tanto per gradire, pochi mesi dopo i magistrati della procura di Milano fecero recapitare a Berlusconi il famoso invito a comparire, preannunciato il giorno prima dal Corriere della Sera, in violazione del segreto istruttorio.
Fu il primo atto della lunga guerra fra Berlusconi e la magistratura, fra accuse di finanziamento illecito ai partiti, tangenti alla Guardia di Finanza, corruzione in atti giudiziari per i processi Sme e il “lodo Mondadori”, fino ad arrivare alle accuse di natura sessuale e al processo per frode fiscale, l’unico terminato con una condanna. Trent’anni segnati da un conflitto perenne tra il Cav. e l’Associazione nazionale magistrati, oltre che la stessa procura di Milano. “Io ho sempre sperato che l’Anm si occupasse dei problemi reali della giustizia, soprattutto delle carenze di organico, non della politica giudiziaria o addirittura della politica tout court, ma le mie speranze sono sempre andate deluse”, dice Bricchetti.
Qualche suo collega ha fatto carriera grazie alle iniziative su Berlusconi? “Beh, lei ha letto le dichiarazioni di Palamara?”. Certo. “Allora vada a vedere chi c’era nel collegio giudicante in Cassazione nel processo per frode e cosa ha fatto dopo. Non dico altro”, conclude Renato Bricchetti.