la sentenza
Si sgonfia un altro filone del processo Consip: assolto in appello il generale Del Sette
La Terza sezione penale della Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado: per il già comandante dei Carabinieri accusato di rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento "il fatto non sussiste"
Si è concluso l’altroieri il giudizio di appello relativo a uno dei filoni giudiziari che maggiore enfasi ha regalato al ben noto circuito mediatico-giudiziario, quello relativo alla cosiddetta vicenda Consip, nata su impulso della procura di Napoli e poi in parte trasferita, per competenza territoriale, presso gli uffici giudiziari della capitale. La Terza sezione penale della Corte d’appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha assolto il generale Tullio Del Sette, già comandante generale dei Carabinieri, con la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”. Più precisamente, l’accertata insussistenza riguarda due distinti reati, rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento, contestati in quanto, secondo la prospettazione accusatoria, il generale avrebbe messo in guardia l’allora presidente di Consip, Luigi Ferrara, circa la possibilità che l’imprenditore Romeo, interessato all’aggiudicazione di un’importante gara indetta proprio da Consip, potesse essere coinvolto in una attività investigativa.
Da subito, a dire il vero, il ruolo di Del Sette è apparso privo di sostanza e addirittura eccentrico rispetto a quello degli originari coimputati, tanto da fargli richiedere – e ottenere – lo stralcio della propria posizione e da acconsentire, per un più rapido giudizio, all’utilizzazione di tutti gli atti di indagine. Ciononostante, il tribunale di Roma, nel gennaio 2021, lo aveva ritenuto responsabile di entrambi i reati ascrittigli, condannandolo alla pena di dieci mesi di reclusione. In appello sono emerse tutte le lacune della sentenza di primo grado, basata su suggestioni e congetture e soprattutto disancorata dall’obiettività probatoria delle dichiarazioni rese da tutti i soggetti escussi: Del Sette – che aveva con Ferrara relazioni solo istituzionali e che mai aveva avuto rapporti con Romeo – versava nell’assoluta impossibilità di rivelare qualsivoglia informazione per la semplice ragione che egli stesso sarebbe stato informato dell’indagine solo diversi mesi dopo il periodo in cui gli inquirenti ipotizzavano fosse avvenuta la rivelazione del segreto.
Se è vero che – come fa notare l’avvocato Carlo Bonzano, subentrato nel collegio di difesa proprio in appello – l’esito assolutorio “restituisce giustizia e verità a un fedele servitore dello stato e all’Arma dei Carabinieri, istituzione alla quale il generale ha dedicato una vita intera”, non viene meno l’amarezza per gli anni di sofferenza causati dalla sentenza di primo grado. Sarebbe bastato poco (senza necessità di alcuna riforma “di sistema”) per rendere quella decisione, fin da subito, aderente all’obiettività materiale e giuridica della vicenda e coerente con i principi di garanzia dello stato di diritto.