editoriali
A Prato l'ennesimo rinvio del maxi processo contro la mafia cinese in Italia
Il “China truck” deraglia ancora. Le indagini sono iniziate nel 2011, dopo un brutale duplice omicidio, e sono state chiuse nel 2018. Tra faldoni misteriosamente scomparsi, difficoltà nel reperire gli interpreti per le traduzioni delle intercettazioni e le lungaggini della giustizia nel nostro paese tutto è ancora fermo
C’è un processo, anzi un potenziale processo, che racconta più di altri la situazione della giustizia italiana, fatta di lungaggini e burocrazia, documenti che scompaiono, interpreti che non si trovano, e rinvii all’infinito. Nella città di Prato, sede di una delle più grandi comunità cinesi in Italia, nel 2011 dopo un brutale duplice omicidio inizia un’indagine ad ampio raggio condotta dalla Squadra mobile di Prato e coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Firenze che mira a smantellare un’organizzazione che, secondo l’accusa, aveva conquistato il controllo del trasporto di merci su strada tra le aziende cinesi in Italia e in parte d’Europa. Sette anni dopo, nel 2018, le indagini si chiudono con decine di arresti, denunce, perquisizioni.
Le accuse sono molte: si va dall’estorsione all’usura, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo, e per la prima volta si solleva l’accusa dell’associazione per delinquere di stampo mafioso che riguarda 38 imputati. Ma tutto si complica nei passaggi successivi: a raccontare le vicende di questo difficilissimo processo che ancora non è partito sono soprattutto i giornali locali, da Notizie di Prato a Tv Prato. L’altro ieri l’ennesimo rinvio: dopo faldoni misteriosamente scomparsi e difficoltà nel reperire gli interpreti per le traduzioni delle centinaia di intercettazioni, “l’elenco delle telefonate da trascrivere” è scomparso, rimasto da qualche parte “nel tragitto virtuale tra la procura distrettuale antimafia di Firenze e il tribunale di Prato”, si legge su Notizie di Prato. Tutto rimandato al prossimo 16 ottobre. Sembra una maledizione quella che è caduta sul processo denominato, come l’inchiesta, “China Truck”. Eppure si tratta di un processo importante, che potrebbe servire soprattutto a portare alla luce le zone d’ombra dell’illegalità cinese anche in Italia, e che è osservato con attenzione anche dall’estero. Ma le lungaggini della giustizia nel nostro paese, l’unico del G7 a essere entrato nel 2019 nel grande progetto strategico di Pechino della Via della Seta, non fanno favoritismi sovranisti: riguardano gli italiani e i cinesi allo stesso modo.