la sentenza
La Consulta dà ragione a Renzi: e-mail e whastapp sono corrispondenza
La procura di Firenze non poteva acquisire senza preventiva autorizzazione del Senato messaggi di posta elettronica del parlamentare. La sentenza della Corte Costituzionale
E-mail e whatsapp sono corrispondenza: la Corte costituzionale ha accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità dell’acquisizione di corrispondenza di Matteo Renzi. La Consulta, con sentenza numero 170, redattore Franco Modugno, ha dichiarato che la procura "non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso parlamentare e di terzi".
Immediata la reazione del leader di Italia Viva sui social: "La Corte costituzionale ha deciso sul conflitto di attribuzione tra Senato e procura di Firenze sulla vicenda Open. Avevo fortemente voluto che la vicenda finisse in Corte, non per il processo ma per un punto di principio e di diritto. Io sostenevo che il comportamento dei pm di Firenze violasse la Legge (e la Cassazione ci ha dato ragione 5 volte) e che violasse anche la nostra Costituzione. La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso, dandoci ragione e annullato alcuni provvedimenti dei pm di Firenze. Oggi è solo il giorno del trionfo del diritto".
"Verrà il giorno - ha aggiunto Renzi - in cui la classe dirigente del Paese rifletterà serenamente su questa indagine assurda, nata contro di me, contro le persone che mi stanno vicine e soprattutto contro i fatti. Verrà quel giorno ma non è questo". "Le indagini dei PM Turco e Nastasi - ha proseguito - sono state bocciate per cinque volte dalla Corte di Cassazione e adesso anche dalla Corte Costituzionale. Dalla parte della legalità ci stiamo noi, non questi due pm. Grazie ai senatori che hanno votato in Aula per sollevare il conflitto sfidando l'opinione pubblica in nome del diritto". "E un abbraccio sincero a chi in questi anni mi ha dimostrato il suo affetto e la sua vicinanza: vi voglio bene".
La decisione della Corte costituzionale rappresenta una svolta storica in materia di sequestro di comunicazione di parlamentari su piattaforme elettroniche. “Ritenere corrispondenza solo quanto viaggia dal mittente al destinatario, escludendo la messaggistica istantanea, è interpretazione antidiluviana, che andava bene ai tempi dei piccioni viaggiatori, ma oggi è assolutamente inadeguata rispetto alla tutela costituzionale della sua libertà e segretezza”, aveva dichiarato al Foglio Salvatore Curreri, professore di Diritto costituzionale presso l’Università di Enna “Kore”.
Curreri aveva aggiunto: “Qui si tratta della corrispondenza di e con un parlamentare, per il cui sequestro l’articolo 68 della Costituzione richiede l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Non si tratta di un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale ma, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 390/2007, di una prerogativa ‘strumentale alla salvaguardia delle funzioni parlamentari’ di modo che intercettazioni o sequestri di corrispondenza non siano ‘indebitamente finalizzati a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività’”. “Se questa è la ratio di tale prerogativa – aveva concluso Curreri – limitarla alle comunicazioni solo in corso di svolgimento e non già concluse, significa darne una interpretazione così restrittiva da vanificarla di fatto”.
I fatti hanno dato ragione alle tesi espresse da diversi costituzionalisti, incluso Curreri.