giustizia
Nordio, sulle carceri così non va bene
Il Guardasigilli paragona i suicidi di Torino a quelli dei nazisti durante il processo di Norimberga. Poi la proposta: usare le caserme dismesse per combattere il sovraffollamento carcerario. "Idea impraticabile", ci spiega Gonnella (Antigone)
Un’uscita infelice e una proposta che, nella realtà, risulta essere impraticabile. E’ ciò che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, consegna all’opinione pubblica in occasione del suo primo Ferragosto da Guardasigilli, alimentando perplessità persino tra i suoi più strenui sostenitori. Partiamo dall’uscita infelice. Riguarda il suicidio di due detenute avvenuto nel carcere di Torino, che il ministro ha visitato nel fine settimana. In un caso, a togliersi la vita è stata una donna detenuta con problemi psichiatrici che, non potendo vedere suo figlio di quattro anni, avrebbe deciso di lasciarsi morire di fame e di sete. Per rispondere a chi chiedeva se si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare la morte, Nordio si è spinto a paragonare la vicenda al processo di Norimberga, dove persino “due imputati eccellenti come Ley e Goring, si sono suicidati uno impiccandosi e l’altro con una pillola di cianuro nonostante stessero con lo spioncino aperto 24 ore su 24”. Una dichiarazione del tutto fuori luogo, per quanto finalizzata a sottolineare l’impossibilità di realizzare una sorveglianza continua sui detenuti.
La proposta impraticabile avanzata da Nordio riguarda proprio il sovraffollamento carcerario: trasformare le caserme dismesse in carceri per i detenuti non pericolosi. L’idea, avanzata da Nordio già lo scorso dicembre, “non sta in piedi né sul piano teorico né su quello pratico”, dice al Foglio Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, che da anni si batte per i diritti dei detenuti.
“Un carcere – spiega Gonnella – ha bisogno di un’architettura pensata per essere carcere, in grado di rispettare gli standard internazionali riguardanti gli spazi della detenzione. Queste caratteristiche non riguardano soltanto il pernottamento, che le caserme potrebbero garantire, ma anche i luoghi legati alle attività culturali, ricreative, sociali, sportive, religiose. La caserma è pensata con un altro obiettivo, cioè far dormire i commilitoni, e basta. Questo è l’aspetto teorico. Nella pratica il problema è semplice: si tratta di un processo lungo e costoso”.
“Per sdemanializzare un bene e poi ridemanializzarlo occorrono anni – spiega Gonnella –. Le caserme dipendono dal ministero della Difesa, non possono diventare immediatamente luoghi patrimonio della Giustizia. Oltre a tutto ciò, occorrono tanti soldi. Visto che si tratta di caserme inutilizzate da anni, ci vorranno sicuramente risorse per renderle funzionali alla vita carceraria”.
E non finisce qui: “Supponiamo pure che il governo sia rapido a ridemanializzare, che abbia le risorse e sia più rapido del passato (oggi per costruire un nuovo carcere o anche soltanto un padiglione servono in media cinque anni), poi si porrebbe il problema del personale – prosegue Gonnella –. Già nel sistema penitenziario attuale mancano le figure professionali necessarie. Se il modello viene esteso a nuove strutture il problema si ripropone: bisogna trovare direttori, poliziotti, medici, educatori, assistenti sociali. Ci vorrebbero tanto tempo e tanti soldi. Quindi non si può dire che le caserme dismesse rappresentano la risposta al sovraffollamento carcerario. E’ pura propaganda”.
Insomma, siamo di fronte a una proposta che non si addice molto a chi vorrebbe proporsi come voce liberale nell’ambito della giustizia e del sistema della pena. “La cultura liberale – replica Gonnella – dovrebbe ripartire dai fondamenti, per esempio andando a rileggersi Beccaria. Bisognerebbe prima di tutto stabilire cosa noi vogliamo punire. Se allarghiamo l’area della penalità all’infinito ovviamente non riusciremo mai a garantire una pena carceraria dignitosa. Negli ultimi anni sono aumentati i numeri della carcerazione, ma anche quelli delle misure penali esterne. Tra pochi giorni il ministero dell’Interno comunicherà i dati relativi alla sicurezza e avremo conferma del fatto che negli ultimi anni non c’è stato un aumento degli indici di delittuosità. Eppure, l’apparato repressivo risponde più diffusamente di prima”.
Ma se si volesse intervenire nell’immediato, cosa si potrebbe fare? “Nell’ordinamento penitenziario esiste una norma che prevede che dal carcere possano arrivare proposte per mandare fuori, in misura alternativa, i detenuti – replica Gonnella – E allora facciamo sì che in tutte le carceri questi consigli di disciplina allargati si riuniscano e facciano proposte rivolte alla magistratura di sorveglianza per mandar fuori persone che sono vicine alla fine della pena e che in realtà sono dimenticate. Se ciascun carcere, a seconda della sua dimensione, segnalasse 10, 20 o 50 casi potremmo avere ottimi benefici. Inoltre aumentiamo la disponibilità dei luoghi che sono già gestiti in modo aperto. Riproduciamo il modello Bollate anche in altre zone del paese”.
L'editoriale del direttore