giustizialismo
La "stesa" diventi reato: anche FI punta sul panpenalismo dopo gli spari a Caivano
La proposta di Martusciello, coordinatore forzista in Campania: contro i raid stile Gomorra "introdurre un reato autonomo". La critica del prof. Vincenzo Maiello (Università di Napoli): "La politica considera il diritto penale come un supermercato"
Nuovo giorno, nuovo reato. La deriva panpenalistica non si ferma. Così, dopo la proposta del Pd di introdurre il reato di “omicidio sul lavoro” in seguito all’incidente di Brandizzo, e dopo l’approvazione da parte del governo Meloni del decreto Caivano, fatto di aumenti di pene e nuovi reati, tocca a Forza Italia lanciare l’idea: far diventare un reato autonomo la “stesa”, cioè il raid con spari all’impazzata a scopo intimidatorio (reso famoso dalla serie “Gomorra”). A proporlo è stato Fulvio Martusciello, coordinatore regionale in Campania, dopo gli spari avvenuti domenica notte proprio a Caivano.
Secondo Martusciello, che è anche capo delegazione di FI al Parlamento europeo, dove siede dal 2014, “non basta contestare il porto abusivo di armi aggravato da metodo mafioso perché, se non colti in flagrante, gli autori potrebbero sempre difendersi sostenendo che le pistole erano a salve”. “Oltretutto – ha proseguito – si dovrebbe provare la volontà di esercitare un predominio sul territorio con metodi o finalità camorristiche. Se invece la stesa diventa un reato autonomo si dà per acquisito, sia che i colpi siano esplosi indipendentemente se a salve o meno, sia che quell’atto miri a stabilire un predominio con finalità camorristiche”.
“Non sono affatto d’accordo”, commenta con il Foglio Vincenzo Maiello, professore ordinario di Diritto penale all’Università di Napoli Federico II e avvocato, non solo per il contenuto della proposta di FI, ma soprattutto per quello che segnala: la tendenza della politica a usare il diritto penale per mostrare i muscoli all’opinione pubblica.
“Innanzitutto dovremmo metterci d’accordo su cosa sia la stesa”, afferma Maiello. “Nella realtà napoletana, la stesa consiste non solo nell’esplosione di colpi d’arma da fuoco in aria, ma anche nel puntare le armi contro persone affacciate su balconi o alle finestre per costringerle a ritirarsi. E’ un tipo di fenomeno ben presente agli uffici giudiziari napoletani. Questi fatti vengono imputati agli autori a titolo di violenza privata aggravata dal metodo mafioso”. “Il controllo del territorio a cui Martusciello fa riferimento – prosegue Maiello – è dunque intrinseco alla condotta: se un gruppo di ragazzi a bordo di motocicli esplode colpi di arma da fuoco e punta le armi nei confronti delle persone questa è una forma di controllo del territorio che estrinseca il metodo mafioso”. Insomma, spiega il docente, “il nostro ordinamento già prevede al suo interno una risposta ad hoc per questa forma di protervia criminale”.
Il punto è che l’iniziativa di Martusciello segnala un problema ben più grave, cioè la tendenza dei partiti italiani (siano essi di centrodestra, come di centrosinistra) a sventolare la forca ogni volta che accade un fatto di cronaca. Una volta è il Pd in tema di tutela dei diritti dei lavoratori. Un’altra volta è Fratelli d’Italia sugli stupri e sui reati commessi dalle baby gang. Un’altra volta è Forza Italia su problemi che riguardano l’ordine pubblico in generale.
“La politica – dichiara Maiello – mostra di considerare il diritto penale una sorta di supermercato al quale rivolgersi ogni qualvolta avverte compulsivamente il bisogno di placare i bisogni emotivi di rassicurazione collettiva. Ma i prodotti che acquista di volta in volta differiscono solo per le etichette, essendo identici per contenuti e qualità della risposta. Il danno è duplice: sul piano pratico, si ingolfa il catalogo dei reati, con complicazioni interpretative che rischiano di aumentare la confusione e l’ineffettività del sistema; sul piano ideologico e politico-culturale, questa impostazione tradisce la concezione del diritto penale quale extrema ratio della politica sociale”.
“Il legislatore – aggiunge il giurista – dovrebbe dare attuazione a una regola aurea della politica criminale liberaldemocratica, secondo cui il reato e la pena costituiscono risposte non contingenti – bensì meditate e razionali secondo i valori e gli scopi perseguiti – a una autentica ed effettiva esigenza. Tutto questo stride con la compulsività ‘pavloviana’ e quasi isterica con cui si ricorre agli strumenti penalistici, ogni qualvolta un fatto di cronaca, amplificato sulla scena mediatica, colpisce il nervo scoperto dell’indignazione popolare”.
In questo ricorso costante agli strumenti della giustizia penale, Maiello vede “una forma di delega al potere giudiziario a trattare fenomeni rispetto ai quali dalla politica ci si aspetterebbe invece un’attenzione orientata alla rimozione delle cause”: “La politica continua a fingere che i fenomeni criminali sono espressione di contesti multifattoriali e hanno radice nella corresponsabilità sociale. Se si continua a non intervenire sulle cause dei problemi, spostando l’attenzione sui soli sintomi, la malattia avrà tempo e modo per incancrenirsi e la lotta alle sue manifestazioni assumerà connotazioni donchisciottesche”, conclude Maiello.