porte girevoli

Il capo di gabinetto di Nordio vuole andare via (grazie a una norma ad personam)

Ermes Antonucci

Alberto Rizzo ha fatto domanda al Csm per rientrare in magistratura con un incarico direttivo. L'uscita di scena sarà possibile grazie a un emendamento che modifica la legge Cartabia

C’è aria di fuga da Via Arenula. Alberto Rizzo, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, è intenzionato ad abbandonare il suo incarico. La toga – ex presidente del tribunale di Vicenza – ha presentato domanda al Consiglio superiore della magistratura per poter assumere le funzioni di presidente del tribunale di Firenze o, in alternativa, di presidente della Corte d’appello di Brescia

 

Rizzo era stato chiamato da Nordio a rivestire l’importante incarico soprattutto per le doti gestionali dimostrate nei sette anni alla guida del tribunale vicentino, che avevano portato a un aumento dell’efficienza dell’ufficio giudiziario e a un crollo dell’arretrato. Dando il saluto al capo di gabinetto uscente, Raffaele Piccirillo, Nordio motivò la nomina di Rizzo con queste parole: “E’ stato scelto in virtù del fatto che è stato premiato come il massimo organizzatore di un tribunale di media entità, dove ha utilizzato le risorse in modo quasi miracoloso. Ecco questo è secondo me l’input che servirà a questo ministero, almeno nella prima fase”. Non è trascorso neanche un anno e l’esperienza, almeno per Rizzo, sembra essere giunta al capolinea. 

  

A spingere il magistrato alla “fuga”, riferiscono alcune fonti, sarebbe soprattutto il clima di tensione vissuto negli uffici di Via Arenula, generato in particolare dalle iniziative della vicecapo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi, anche lei magistrata prestata alla politica. Come già raccontato su queste pagine, Bartolozzi, tra una sfuriata e l’altra in pubblico con i propri collaboratori e colleghi, avrebbe sostanzialmente accentrato tutte le decisioni più importanti che competono al ministero, bypassando in maniera sistematica i vertici degli uffici di diretta collaborazione del Guardasigilli, incluso Rizzo, cioè colui che dovrebbe essere il suo superiore. 

 

L’uscita di scena di Rizzo, tuttavia, è ostacolata da una norma introdotta dalla riforma Cartabia in materia di porte girevoli tra politica e magistratura. La legge 71 del 2022, infatti, prevede che i magistrati collocati fuori ruolo (ad esempio nei ministeri), terminato il loro incarico, non possano assumere funzioni direttive e semidirettive per i successivi quattro anni, a meno che l’incarico stesso non sia durato meno di un anno. La norma è pensata per evitare che i magistrati sfruttino il ruolo rivestito nei vertici ministeriali come un trampolino di lancio per la carriera in magistratura. Rizzo ha assunto l’incarico il 27 ottobre 2022 e prima di quella data è impossibile che il Csm possa nominarlo per uno degli uffici per i quali ha fatto domanda, che si libereranno a novembre (Brescia) e dicembre (Firenze). A salvarlo, però, potrebbe essere un emendamento inserito nel disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto Asset, approvato giovedì dal Senato (riguardante in realtà interventi in materia economica e finanziaria). 

 

L’emendamento, proposto dalla Lega, aumenta da uno a due anni il termine al di sotto del quale non si applica il divieto previsto dalla riforma Cartabia per il reinserimento dei magistrati fuori ruolo. In altre parole, grazie a questa modifica Rizzo potrebbe evitare di dimettersi prima del 27 ottobre e decidere di rimanere nel proprio ruolo ancora per alcuni mesi, aspettando che il Csm proceda con le nomine (nella speranza di ottenere l’incarico a Brescia o Firenze). 

 

In Parlamento diversi malpensanti pensano che l’emendamento sia stato elaborato proprio per permettere a Rizzo di abbandonare in tranquillità il ruolo di capo di gabinetto. Insomma, una “norma ad personam”. Il disegno di legge di conversione del decreto passerà ora alla Camera. A prescindere da tutto ciò, resta lo stupore per la decisione di uno dei più stretti collaboratori di Nordio di lasciare un incarico così rilevante nella gestione del ministero. Segno che le tensioni interne stanno producendo conseguenze di non poco conto.