la pronuncia
Altro che Catania. La sentenza scandalo sui migranti è quella del tribunale di Firenze
I giudici fiorentini hanno negato il rimpatrio di un migrante verso la Tunisia affermando che il paese deve essere considerato “non sicuro”, con motivazioni che sembrano avere carattere politico. A presiedere il collegio giudicante un magistrato della corrente di sinistra Area
Altro che sentenza della giudice di Catania. E’ destinata a generare ancora più polemiche la pronuncia con cui il tribunale di Firenze, lo scorso 20 settembre, ha negato il rimpatrio di un migrante verso la Tunisia. I giudici hanno infatti affermato che la Tunisia deve essere considerato un paese “non sicuro”, a differenza di quanto invece stabilito dal governo italiano fin dal 2019 (e confermato dal governo Meloni lo scorso marzo).
La designazione di un paese sicuro per i richiedenti protezione internazionale produce delle conseguenze importanti sulle modalità attraverso le quali le domande di asilo dei migranti vengono esaminate. Il presupposto è che il migrante non fugga da un rischio di persecuzione, ma che questo debba essere specificamente dimostrato. Di conseguenza, l’esame della domanda di asilo si svolge con una procedura accelerata, che include però restrizioni sul piano della tutela giurisdizionale, come una limitazione dei termini di impugnazione e la mancata sospensione della decisione di rigetto della domanda.
Se la giudice di Catania, Iolanda Apostolico, finita nell’occhio del ciclone per aver respinto il trattenimento di tre tunisini, ha perlomeno motivato la sua decisione facendo riferimento a norme del diritto europeo e internazionale (si vedrà se in maniera fondata), il tribunale di Firenze si spinge direttamente a stabilire la natura di “paese non sicuro” della Tunisia, attraverso valutazioni che sembrano più avere un carattere politico. Nella sentenza i giudici sostengono che da quando la Tunisia è stata inserita dal governo italiano nell’elenco dei paesi “sicuri” la situazione nel paese africano sarebbe decisamente cambiata: si sarebbero registrati “recentissimi e gravi sviluppi” sul piano della “crisi del sistema democratico”.
A lasciare perplessi sono gli elementi portati dai magistrati a sostegno della propria tesi: il fatto che quasi sessanta magistrati sono stati destituiti dal presidente Saied e non sono ancora stati reintegrati; il fatto che due giudici sono stati coinvolti negli arresti di massa dello scorso febbraio; alcune dichiarazioni dello stesso Saied secondo le quali “qualunque magistrato avesse osato esonerare dalle loro responsabilità gruppi criminali sarebbe stato considerato loro complice”. I giudici poi se la prendono con lo stato della democrazia interna alla Tunisia, sottolineando che “le elezioni del 2022 hanno registrato una partecipazione inferiore al 9 per cento degli aventi diritto al voto”, che Saied ha sostituito gli osservatori internazionali “con persone di sua fiducia”, e che poche settimane fa la Tunisia “ha vietato l’ingresso nel paese a una delegazione del Parlamento europeo”. Infine, nella sentenza vengono riportate le preoccupazioni espresse dall’Onu sulla “sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia”. Preoccupazioni “condivise dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, in una relazione relativa alla conclusione di un memorandum d’intesa tra i paesi dell’Unione europea e la Tunisia”.
Così, per i giudici può concludersi che “gli eventi recentemente verificatisi in Tunisia rappresentano un cambiamento significativo nella situazione relativa ai diritti umani in un paese designato da essi come sicuro, in conseguenza dei quali e in conformità al diritto sovranazionale sorge l’obbligo dello stato di riesaminare tempestivamente la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri”. In altre parole, a differenza di quanto deciso dal governo (dopo un’articolata istruttoria tecnica svolta dai ministeri degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia), la Tunisia non può essere considerato paese sicuro.
La sensazione è che si sia di fronte a un’esondazione del tribunale di Firenze dai propri compiti. Stabilire la natura di “paese non sicuro” sulla base di poche e selezionate informazioni rintracciate su Internet sembra essere un’opera a dir poco parziale, che finisce per far apparire la sentenza – a differenza di quanto sostenuto in premessa – non affatto “rispettosa del principio di separazione dei poteri”. A presiedere il collegio giudicante è stato Luca Minniti, giudice appartenente alla corrente di sinistra Area, con la quale si è candidato alle elezioni per il Csm nel 2021.