L'ordinanza
Il flop dei pm antimafia di Milano: 142 arresti respinti su 153 e nessuna cupola mafiosa
E' crollata davanti al giudice delle indagini preliminari di Milano, Tommaso Perna, la maxi indagine della procura di Milano sulla presunta alleanza tra 'ndrangheta, Cosa nostra e camorra in Lombardia
E’ crollata davanti al giudice delle indagini preliminari di Milano, Tommaso Perna, la maxi indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia milanese incentrata sulla presunta esistenza di un “sistema mafioso lombardo”, cioè di una grande cupola mafiosa in Lombardia basata su un’alleanza tra le tre principali organizzazioni criminali del nostro paese: ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra. Il gip ha bocciato l’ipotesi avanzata dalla procura guidata da Marcello Viola, accogliendo soltanto 11 richieste di misure cautelari su 153 ed escludendo la sussistenza del reato di associazione mafiosa.
Una bocciatura clamorosa, non solo in termini numerici (mai si era assistito al rigetto di 142 arresti in carcere in via cautelare), ma anche sostanziali: per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, infatti, i pm si erano spinti a teorizzare l’esistenza di un’unica federazione composta da consorterie mafiose, camorristiche e ‘ndranghetiste, capace di condizionare la vita pubblica, economica e sociale della provincia di Milano. “Dall’intera attività di indagine non è stato possibile ricavare l’esistenza di un’associazione di tipo confederativo che raggruppa al suo interno le diverse componenti criminali – sottolinea il giudice nell’ordinanza di oltre duemila pagine – Infatti, quel che è del tutto assente nella presente indagine, da una parte, è la prova dell’esistenza del vincolo associativo tra tutti i sodali rispetto al sodalizio consortile, dall’altra, dell’esternazione del metodo mafioso che deve caratterizzare l’unione tra persone e beni, tale da assurgere al rango di un fatto penalmente rilevante ex sé, rientrante nell’ambito della figura descritta all’art. 416 bis c.p.”.
Secondo il gip, dall’inchiesta coordinata dalla pm Alessandra Cerreti con la supervisione dell’aggiunto Alessandra Dolci, piuttosto “è emersa la presenza di contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali e in ogni caso afferenti a cointeressenze rispetto a singoli affari, talvolta leciti e talaltra illeciti, circostanza questa, che diversamente da quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, non costituisce un elemento innovativo nel contesto lombardo”.
Insomma, dall’indagine saranno pure emersi reati (gli arrestati sono accusati di porto abusivo di armi, estorsioni, minacce aggravate, traffico di droga, evasione fiscale; circa 225 milioni di euro sono stati sequestrati in via preventiva), ma nulla sorregge il teorema del “sistema mafioso lombardo”. Le parole del gip Perna sono in questo senso nette: “Non è stata raggiunta la prova, nemmeno indiziaria, che gli odierni indagati si sono avvalsi della forza intimidatrice che promana dall’esistenza stessa dell’associazione, con conseguente assoggettamento diffuso della popolazione ad una condizione di omertà generalizzata. Anzi, a ben vedere, la popolazione locale non è nemmeno consapevole dell’esistenza del sodalizio di tipo consortile ipotizzato dalla pubblica accusa”.
“Nonostante l’ingente mole di intercettazioni telefoniche, condotte in un arco temporale lunghissimo – prosegue il giudice – non è stato individuato alcun atto di intimidazione posto in essere da parte degli odierni indagati nello svolgimento delle più svariate attività economiche a essi riconducibili. Tale circostanza desta più stupore se si considera che, nell’ottica accusatoria, il sodalizio di tipo confederativo ipotizzato ha dovuto necessariamente occupare tutti gli spazi della vita politica ed economica della provincia milanese”.
Il giudice conclude evidenziando che “non vi è prova che sia stata costruita un’organizzazione stabile, posta in essere allo scopo di realizzare un programma criminoso comune, protratto nel tempo, con una ripartizione di compiti tra gli associati, ossia il vincolo associativo”.
Da quanto appreso, la pm Alessandra Cerreti ha impugnato l’ordinanza del gip davanti al tribunale del Riesame. Si vedrà come la vicenda si svilupperà nelle successive fasi di giudizio. Di certo, dal giudice Perna è giunto – indirettamente – un promemoria di non poco conto per tutti i magistrati: per arrestare delle persone occorrono le prove, non basta un’ipotesi non suffragata dai fatti.