Il commento
L'inaspettato garantismo dei pm di fronte a: "Fuori i sionisti da Roma"
C'è qualcosa che non funziona se davanti agli episodi antisemiti di questi giorni non si è sentito di nessun appello al diritto
Non che servisse la riprova: ma dev’esserci qualcosa che non funziona, nel paese dell’azione penale obbligatoria e delle leggi “contro l’odio” e la discriminazione di stampo etnico-razziale, se davanti alla plateale e plurima manifestazione di comportamenti di quel tipo non succede letteralmente nulla. Se cioè, a pochi passi e a pochi giorni dalla commemorazione del rastrellamento del 1943 al Portico d’Ottavia, e nel risuonare della retorica repubblicana che reitera un “Mai più” sempre meno affidabile, una graziosa fanciulla strilla “Fuori i sionisti da Roma”. Qualcosa non funziona, in un ordinamento civile che si pretende presidiato da quelle normative, se una simile sconcezza è liquidata al rango di una episodica esibizione di inurbanità. Qualcosa non funziona, se le pietre d’inciampo bruciate a Trastevere finiscono senza strepito, senza scandalo, senza nessun appello a qualsiasi intervento di diritto, in qualche trafiletto di cronaca accanto al meteo. E si potrebbe discutere, se il problema non fosse in realtà ben più grave, della funzione perlopiù declamatoria di tutta questa attrezzatura normativa posta a tutela di “valori” evidentemente assai poco condivisi se, alla prova dei fatti, possono essere pubblicamente e impunitamente stuprati dall’adunata di filo-sgozzatori che preconizza la kristallnacht un po’ caciarona, la bravata magari un tantino disinvolta, ma pur sempre bravata, che ricasca in rassegna stampa come comprensibile “protesta” contro il rave party che oltraggia la sofferenza del popolo accanto.
Che non scattino, a contrasto di queste palesi contravvenzioni a leggi di cui pure si canta la pregnanza civile e democratica, i necessari e obbligatori accertamenti di giustizia è dopotutto il problema minore: è soltanto l’inutile riprova, appunto, dell’inefficacia della comminazione roboante, pronta a rivelarsi non appena si tratti di farne applicazione anziché dimostrativa manutenzione. Il problema non risiede dunque lì, nella spedizione in desuetudine di norme repressive messe nel nulla dall’impunità di comportamenti sfrontatamente contrari: il problema risiede semmai nella mancata considerazione civile e politica di quell’affronto; nel fatto che se ne fa tutt’al più oggetto di una deplorazione routinaria, tanto più grave perché pretende di assolversi nella tranquillizzante constatazione che siamo pur sempre il paese in cui certe cose sono pomposamente e fortemente vietate. Il tutto, ed è veramente il cerchio che si chiude, nel cortocircuito per cui quelle leggi non sono disapplicate per una specie incapacità burocratica, ma per una sorta di adattamento a un terrificante e pervasivo “spirito dei tempi”. L’ordinamento che si autolimita, che si fa recessivo, perché percepisce che quei comportamenti non sono più percepiti come delitti nella società da cui promanano. Va bene – si fa per dire – con le multe troppo salate, con il linguaggio postribolare ormai entrato nel gergo ammissibile: non va bene con i contrassegni sull’uscio sionista. E non si sa che cos’altro debba ancora succedere perché si capisca.