l'intervista
“Sui migranti i magistrati si sono spinti oltre i propri ambiti”, dice Antonio Leone
Parla il presidente uscente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria: "La separazione dei poteri impone che ognuno faccia il suo: il magistrato deve applicare la legge, punto e basta. Non deve criticarla"
"Su alcune materie, in particolare l’immigrazione, una parte della magistratura si è spinta oltre i propri ambiti di competenza. E’ entrata in un campo in un cui non dovrebbe entrare. La separazione dei poteri impone che ognuno faccia il suo: il magistrato deve applicare la legge, punto e basta. Non deve criticarla o dire al legislatore ‘hai sbagliato a fare questo, dovresti fare quest’altro’, come invece sta accadendo. Alcune prese di posizioni di magistrati sono assurde, allucinanti”. Lo afferma, intervistato dal Foglio, Antonio Leone, che tra pochi giorni, precisamente martedì, terminerà il suo incarico di presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), l’organo di autogoverno dei giudici tributari. “Il magistrato può andare in piazza, anche a protestare contro una legge che ritiene ingiusta – aggiunge Leone, riferendosi indirettamente al caso Apostolico – Ma se poi al suo ufficio si presenta un caso che rientra in quella sua idea di non giustezza della norma, allora il magistrato deve astenersi dal procedimento. La magistratura è tenuta a garantire un’immagine di imparzialità e indipendenza”.
La fine dell’incarico al vertice del Cpgt costituisce, comunque, l’occasione per tracciare un bilancio dei cambiamenti che hanno investito la giustizia tributaria, oggetto di una riforma approvata lo scorso anno per volontà dell’allora Guardasigilli Marta Cartabia. "Una riforma frettolosa, che sta creando difficoltà applicative, e che invece di risolvere i problemi (pochi) di questa giurisdizione li sta creando”, ha detto Leone nella sua relazione all’inaugurazione dell’Anno giudiziario tributario lo scorso marzo. Concetto ora ribadito al Foglio: “La consiliatura che si sta per concludere ha lavorato tantissimo per far funzionare la giustizia tributaria, che è sempre stata vista come la ‘Cenerentola’ tra tutte le giurisdizioni, anche se cura un contenzioso di miliardi di euro. A fronte di questo bilancio positivo e degli ottimi risultati ottenuti, c’è da fare i conti con i tanti limiti della recente riforma. Basti pensare al flop costituito dal transito dei giudici togati alla giustizia tributaria. A dispetto dei 100 magistrati previsti, alla fine soltanto in 23 hanno effettuato il passaggio”, sottolinea Leone.
“Bisognava fare una rivisitazione delle sedi delle Corti di giustizia tributarie, ma non è stata fatta”, prosegue il presidente uscente del Cpgt. “Non è stato effettuato uno studio che individuasse le sedi da valorizzare e quelle invece da sopprimere. Ci sono Corti tributarie che lavorano pochissimo e sono ancora in piedi, e altre che invece sono strapiene di lavoro e hanno bisogno di maggior organico. E per non parlare poi della individuazione sommaria che la Ragioneria dello stato ha fatto sul numero complessivo dei futuri magistrati tributari professionali”.
C’è poi il grande tema della dipendenza dei giudici dal ministero dell’Economia e delle Finanze. La riforma Cartabia non ha cancellato i legami di dipendenza tra i giudici e il Mef, un elemento che contribuisce ad appannare l’immagine di imparzialità della giustizia tributaria. “Auspico che questo problema venga presto risolto – dice Leone – anche perché Maurizio Leo, prima di diventare viceministro con delega alle finanze, in un’audizione al Senato aveva espresso forti perplessità sul mantenere la giustizia tributaria all’interno del Mef”.
Per quanto riguarda i tempi della giustizia tributaria, il Pnrr cita interventi soltanto in relazione alla riduzione del “numero di ricorsi in Cassazione”. “La giurisdizione più veloce, almeno in primo e secondo grado, è infatti quella tributaria – evidenzia Leone – Ciò che porta all’allungamento dei tempi è il giudizio in Cassazione, che però non ha niente a che vedere con la gestione della giurisdizione tributaria, ma rientra nella giurisdizione ordinaria. Il risultato è che in Cassazione sono pendenti migliaia di procedimenti dal valore di decine di miliardi di euro. La situazione non cambierà fino a quando il legislatore non capirà che la giurisdizione tributaria costituisce la cassaforte dello Stato e l’equilibrio dei diritti dei cittadini”.