Populismo penale

Nuovi reati e pene più alte: il pacchetto sicurezza è il trionfo della forca

Ermes Antonucci

Una sfilza di norme che introducono reati e aumentano le pene già esistenti. A questo si riducono, ancora una volta, le misure varate in Cdm, con buona pace del garantismo professato dal Guardasigilli Nordio

Una sfilza di norme che introducono nuovi reati o aumentano le pene già esistenti. A questo si riduce, ancora una volta, il pacchetto di misure per la sicurezza approvato ieri dal Consiglio dei ministri. L’ennesima prova di populismo penale da parte della premier Meloni, con la collaborazione dei vicepremier Salvini e Tajani, e dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Piantedosi e Nordio, a dispetto dei propositi garantisti avanzati in particolare da quest’ultimo. I disegni di legge prevedono un inasprimento generalizzato delle pene. 

 

Si comincia con le occupazioni di immobili destinati a domicilio altrui (punite con la reclusione da due a sette anni). Alla stessa pena soggiace “chiunque si appropria di un immobile altrui, con artifizi o raggiri, ovvero cede ad altri l’immobile occupato”. La normativa precedente prevedeva una pena da uno a tre anni. 

 

Vengono aumentate, poi, le pene per chi truffa gli anziani (prevista la reclusione da due a sei anni e la multa da 700 a 3.000 euro). 
Nell’ottica di rafforzare la lotta al terrorismo viene introdotto un nuovo reato che punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque si procura o detiene materiale contenente istruzioni sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, armi o sostanze chimiche e batteriologiche con finalità terroristiche. 

 

In questo grande minestrone trova poi spazio l’inasprimento delle pene (di un terzo) per chi commette violenza, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria, quelle per chi provoca lesioni ad agenti di polizia (fino a cinque anni di reclusione), per chi imbratta beni mobili o immobili in uso alle forze di polizia (da sei mesi a tre anni), per chi promuove, organizza e dirige rivolte in carcere (reclusione da due a otto anni), e per chi induce o impiega minori nell’accattonaggio (da uno a cinque anni).  

 

Una stretta arriva anche sull’arresto delle donne incinte. Oggi il codice penale prevede che le donne incinte e le madri con figli fino a un anno di età non possano scontare subito la pena, ma che questa venga differita. La proposta del governo cancella il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne in stato di gravidanza e per le madri di figli fino a tre anni: “L’esecuzione della pena non può essere differita ove dal rinvio derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti”. Le donne non finirebbero comunque in carcere ma presso istituti a custodia attenuata per detenute madri

 

La misura, che era già stata proposta in Parlamento dalla Lega nei mesi scorsi, mira a porre un freno al fenomeno delle borseggiatrici incinte o con bambini piccoli, che, proprio in virtù di questa loro condizione, sfuggono alle maglie della giustizia, generando una certa frustrazione nell’opinione pubblica. Basti pensare che lo scorso luglio a Milano è stata fermata una donna di 35 anni di etnia rom che dovrebbe scontare quasi 30 anni di reclusione per le decine di rapine e furti commessi nel corso degli anni. La donna ha sempre ottenuto, a norma di legge, la scarcerazione con differimento della pena per le sue numerose gravidanze. 

 

“La destra si accanisce contro i bambini”, gridò il Pd quando la Lega tentò la scorsa primavera di far passare alla Camera una proposta di legge di modifica all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. La problematica, tuttavia, è reale, e molto sentita a livello sociale (basta fare un giro per le metropolitane delle grandi città per accorgersene).

 

D’altra parte, non è pensabile – come fa Salvini – di poter risolvere il problema a colpi di slogan e mere modifiche del codice penale. In Italia gli istituti a custodia attenuata per detenute madri sono soltanto quattro e non tutti sono adeguatamente attrezzati per accogliere donne incinte. A ciò si deve aggiungere che saranno i giudici, caso per caso, nella loro legittima discrezionalità, a decidere se disporre o meno l’esecuzione della pena (alla luce anche della possibilità delle donne di ricevere, appunto, un adeguato trattamento negli istituti). Insomma, non sarebbe una sorpresa se alcuni giudici decidessero in alcuni casi di andare contro i desiderata di Salvini. 

 

Così il governo non ha fatto che preparare l’ennesimo terreno di scontro con la magistratura.

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