Il grande bluff
Le promesse non mantenute di Nordio su toghe fuori ruolo e "pagelle"
Il Guardasigilli aveva auspicato una riduzione da 200 a 20 magistrati fuori ruolo: il decreto approvato lunedì in Cdm ne prevede ben 180. Sulla valutazione di professionalità tutto è rimesso nelle mani del Csm, cioè delle toghe stesse
Ancora promesse non mantenute da parte del Guardasigilli Carlo Nordio in materia di riforma della giustizia. Nel trambusto della polemica innescata dalle parole del ministro Crosetto contro la magistratura, lunedì sera il Consiglio dei ministri ha approvato due decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario, varata durante i titoli di coda del governo Draghi. Due gli interventi più attesi: la stretta sui magistrati fuori ruolo e la nuova disciplina sulla valutazione professionale delle toghe. In entrambi i casi, le misure adottate dal governo smentiscono clamorosamente i propositi di riforma sbandierati dal ministro Nordio. La retromarcia più netta (e anche più imbarazzante) si registra sulla questione dei magistrati fuori ruolo.
“Sono favorevole a una forte riduzione dei magistrati fuori-ruolo: credo che dei 200 attualmente distaccati ne basti solo il 10 per cento, gli altri dovrebbero tornare a lavorare nei tribunali”, disse Nordio in un’intervista il 15 febbraio 2022. E’ trascorso oltre un anno e mezzo da quelle dichiarazioni e Nordio, nel frattempo diventato ministro della Giustizia, deve aver cambiato radicalmente idea. Il decreto legislativo approvato dal governo, infatti, riduce il limite massimo di magistrati ordinari collocabili fuori ruolo da 200 a 180. Una riduzione di soltanto venti unità. Altro che stretta.
Del resto, che le cose non fossero poi così cambiate rispetto al passato già lo si era capito assistendo all’infornata di magistrati fuori ruolo nelle posizioni di vertice del ministero di Via Arenula (capo e vicecapo di gabinetto, capo dell’ufficio legislativo, capo del dipartimento degli affari di giustizia e via discorrendo). Quest’ultimi, peraltro, una volta terminato l’incarico fuori ruolo potranno tornare subito a svolgerne un altro: il decreto, infatti, introduce il divieto per i magistrati di essere collocati nuovamente fuori ruolo se non sono trascorsi almeno tre anni, ma il testo non si applica in maniera retroattiva.
Il secondo fronte che ha visto cadere i propositi riformatori di Nordio riguarda la valutazione professionale dei magistrati, oggi sostanzialmente inesistente se si considera che nel 99,2 per cento dei casi le toghe ottengono valutazioni di professionalità positive durante il loro percorso di carriera. Il decreto approvato lunedì sera prevede l’istituzione di un fascicolo per ciascun magistrato che contenga gli atti e i provvedimenti redatti dalla toga, dati statistici relativi al lavoro svolto, e anche i provvedimenti relativi all’esito degli affari trattati nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio. Questi atti, però, come evidenziato dal deputato di Azione, Enrico Costa, saranno scelti “a campione”, dunque i fascicoli avranno non poche lacune.
Non è tutto. Il decreto prevede che per valutare la capacità del magistrato il Csm dovrà tenere conto anche del “rigetto delle richieste avanzate dal magistrato o la riforma e l’annullamento delle decisioni per abnormità, mancanza di motivazione, ignoranza o negligenza nell’applicazione della legge, travisamento manifesto del fatto, mancata valutazione di prove decisive, quando le ragioni del rigetto, della riforma o dell’annullamento sono in se stesse di particolare gravità ovvero quando il rigetto, la riforma o l’annullamento assumono carattere significativo rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”. Quando la bocciatura delle decisioni adottate da un magistrato (ad esempio una richiesta di custodia cautelare in carcere o una richiesta di condanna) sarà considerata “significativa”? A stabilirlo sarà il Csm, cioè l’organo gestito per due terzi proprio dalle toghe.
Lo stesso vizio si rintraccia nelle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi. Il decreto stabilisce che per nominare un magistrato alla guida di un ufficio giudiziario il Csm dovrà tenere conto di una serie di elementi (merito, capacità di organizzazione, pregresse esperienze di direzione e di coordinamento investigativo ecc.). Un modo per cercare di evitare i condizionamenti delle correnti. Allo stesso tempo, però, il testo prevede che sia il Csm a determinare il “rilievo” da attribuire ai suddetti criteri. Insomma, di nuovo la palla passa nelle mani degli stessi magistrati. Non proprio il miglior modo per limitare lo strapotere delle toghe.