la recensione
Il vero scandalo dell'Hotel Champagne nell'ultimo libro di Barbano
Il nuovo libro del giornalista, "La gogna", indaga i retroscena dello scandalo che nel 2019 ha terremotato il Csm. Tra violazioni del segreto istruttorio, trojan intermittenti e guerre intestine alla magistratura
Uno scandalo ufficiale, apparente, buono per essere venduto all’opinione pubblica, che porta dietro di sé uno scandalo reale, ma rimasto nascosto, inesplorato. Potrebbe essere definito così, a distanza di quattro anni e mezzo, il caso dell’Hotel Champagne, il famoso incontro avvenuto l’8 maggio 2019 che scombussolò la magistratura italiana. Protagonisti della riunione, incentrata sulle nomine di vertice di alcuni uffici giudiziari (a partire dalla procura di Roma), furono Luca Palamara, Cosimo Ferri, Luca Lotti e cinque componenti del Csm. Lo scandalo, quello apparente e di cui per mesi si occuparono i quotidiani, portò alla scoperta dell’acqua calda: il gioco delle correnti dietro le nomine del Csm. A pagare furono pochi capri espiatori: Palamara, radiato dalla magistratura, i membri del Csm, costretti a dimettersi e puniti sul piano disciplinare, e pochi altri. Lo scandalo, quello vero, viene oggi indagato in maniera organica da Alessandro Barbano nel suo nuovo libro “La gogna. Hotel Champagne. La notte della giustizia italiana” (Marsilio, 18 euro).
L’inchiesta prende avvio dall’altro protagonista della vicenda: il trojan iniettato nel cellulare di Palamara, all’epoca indagato per alcuni episodi di presunta corruzione (poi caduti in sede di giudizio) dalla procura di Perugia e operativamente dalla polizia giudiziaria di Roma. Palamara viene captato per mesi e le intercettazioni, una volta avvenuto l’incontro all’Hotel Champagne, cominciano improvvisamente a finire sui giornali. “E’ la più clamorosa violazione di segreto istruttorio della storia repubblicana – scrive Barbano – Perché i dialoghi di Palamara iniziano a comparire sui giornali mentre lui è ancora sotto l’orecchio solerte dei finanzieri del Gico. L’intercettazione qui rivela il suo straordinario chilometro zero. Cotta e mangiata, o pronta per l’uso, se si preferisce”. Tutta l’indignazione del paese, così, si scarica sui protagonisti di quella che nelle cronache dei media è raccontata come una congiura contro la magistratura e contro la democrazia. Nulla di ciò che emerge sugli organi di informazione viene messo in dubbio e la gogna si scaglia contro i presenti alla riunione all’Hotel Champagne.
E’ Barbano a ricostruire lo scandalo celato, fatto di un trojan che si scopre funzionare a intermittenza e che casualmente si spegne per alcune ore durante una cena tra Palamara e l’allora capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone, i cui finanzieri di fiducia erano chiamati a compiere le intercettazioni. E poi, i ripetuti malfunzionamenti e addirittura manipolazioni dei risultati ottenuti attraverso l’attività di captazione. E, ancora, le irregolarità nella conservazione delle intercettazioni raccolte dal trojan, avvenuta in un server installato presso la procura di Napoli. Infine l’esistenza di una lotta intestina tra la sinistra e la destra giudiziaria.
E’ proprio in quest’ultimo contrasto, lascia intendere l’autore, che andrebbe rintracciata l’origine dello scandalo, nel tentativo di Palamara di spostare a destra gli equilibri della magistratura, portando Marcello Viola alla guida della procura capitolina, contro la volontà del procuratore uscente Pignatone. Lo scoppio dello scandalo impedì la riuscita dell’operazione, spingendo il Csm a nominare Francesco Lo Voi, candidato delle sinistre e ben voluto da Pignatone, come capo della procura di Roma. Da questo e dall’intreccio opaco tra Pignatone e i finanzieri delegati a realizzare le intercettazioni nei confronti di Palamara si muove lo scandalo dell’Hotel Champagne raccontato da Barbano. L’unico scandalo vero.