le parole choc
Lo scandalo del Csm rischia di diventare lo scandalo della Consulta
L'ex giudice della Corte costituzionale Zanon ha rivelato che la sentenza sull'uso delle intercettazioni contro Ferri fu pronunciata "rovesciando la Costituzione", per non sconfessare la Cassazione e il Csm, che avevano punito i protagonisti della famosa serata all’Hotel Champagne
La sentenza della Corte costituzionale che ha ammesso l’uso delle intercettazioni contro Cosimo Ferri, captate tramite il trojan inoculato nel cellulare di Palamara, fu pronunciata rovesciando la Costituzione, per non sconfessare la Corte di Cassazione e la sezione disciplinare del Csm, che avevano punito i protagonisti della famosa serata all’Hotel Champagne. Sono sconcertanti le rivelazioni fatte da Nicolò Zanon, giudice della Corte costituzionale fino a un mese fa, mercoledì sera a Milano nel corso della presentazione dell’ultimo libro di Alessandro Barbano, “La gogna. Hotel Champagne. La notte della giustizia italiana” (Marsilio).
Le parole di Zanon si riferiscono alla decisione con cui, il 20 luglio 2023, la Corte costituzionale si è espressa sul conflitto di attribuzione sollevato dal Csm contro la Camera, che aveva negato l’utilizzo delle intercettazioni nei confronti di Ferri. All’epoca dell’incontro all’Hotel Champagne, il 9 maggio 2019, Ferri – magistrato in aspettativa – rivestiva infatti l’incarico di deputato. Nonostante nei giorni precedenti all’incontro, incentrato sulle nomine di vertice di alcuni uffici giudiziari (a partire dalla procura di Roma), Ferri fosse stato intercettato decine di volte con il suo amico Palamara e nonostante alcune di queste conversazioni avessero riguardato proprio la programmazione della riunione, i finanzieri romani che per conto della procura di Perugia stavano indagando l’ex presidente dell’Anm per corruzione non interruppero l’attività di intercettazione, ma lasciarono il trojan attivo, violando così la sfera privata del parlamentare.
Quando per queste ragioni la Camera ha negato l’uso delle captazioni contro Ferri, il Csm si è rivolto con un conflitto di attribuzioni alla Corte costituzionale, che, abbastanza incredibilmente, ha dato ragione al Csm.
Che la sentenza sia stata oggetto di un conflitto interno alla Consulta è cosa nota. Il giudice Franco Modugno (oggi vicepresidente della Corte) decise infatti di esprimere il suo dissenso rifiutandosi di stendere le motivazioni della decisione. Queste andavano in senso contrario alla sentenza che pochi giorni prima aveva firmato sul caso Renzi, in cui si afferma che i messaggi Whatsapp e le e-mail di un parlamentare non possono essere acquisiti, neanche presso i destinatari, senza l’autorizzazione preventiva del Parlamento.
Nel caso di Ferri, invece, la Corte costituzionale ha – nelle parole di Zanon – “rovesciato ciò che la Costituzione dice in tema di intercettazioni. Basta evitare di iscrivere il parlamentare nel registro degli indagati, anche se di fatto lui è al centro delle indagini, per poterlo intercettare”. “I fatti che avevamo visto agli atti dimostravano con ogni evidenza che la direzione delle indagini era Cosimo Ferri e i suoi rapporti con Palamara”, ha aggiunto Zanon alla presentazione del libro di Barbano. Poiché, però, Ferri non era iscritto nel registro degli indagati, la Corte “ha dato ragione al Csm, rovesciando l’onere della prova sulla Camera dei deputati”.
La vera bomba è arrivata poco dopo, quando Zanon ha rivelato che “nel non detto di quella motivazione” si cela un argomento che venne speso da diversi giudici della Corte in camera di consiglio e che “a noi fece inviperire”: “Non è pensabile che si dia ragione alla Camera, perché se si dà ragione alla Camera le intercettazioni acquisite diventano prove non più valide e il rischio a catena che tutti i processi disciplinari di fronte alla sezione disciplinare, quei cinque che erano stati imbastiti contro quegli sventurati partecipanti alla serata dell’Hotel Champagne, finissero in un nulla”. Insomma, “non era possibile smentire la Cassazione e la sezione disciplinare” del Csm.
In altre parole, i giudici costituzionali erano ben consapevoli dell’illegittimità delle intercettazioni realizzate la sera dell’incontro all’Hotel Champagne, ma scriverlo nero su bianco avrebbe significato smontare completamente la decisione con cui la Cassazione aveva confermato la radiazione di Palamara, e anche i procedimenti disciplinari aperti dal Csm contro gli altri “congiurati”: i cinque consiglieri del Csm Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre e Corrado Cartoni. Non si esagera se si dice che con le sue parole Zanon sembra persino profilare la commissione di un abuso d’ufficio da parte dei giudici costituzionali.
Interpellato dal Foglio, Zanon si è rifiutato di tornare sulle sue dichiarazioni. Per Barbano, invece, queste sono a dir poco “incredibili” e “in un paese civile aprirebbero un caso in Parlamento”.