il calvario

Il flop della maxi inchiesta sui professori di Diritto tributario accusati di truccare i concorsi

Ermes Antonucci

Dopo sei anni prosciolti 44 docenti e ricercatori di Diritto tributario accusati di corruzione nei concorsi per l'abilitazione. Sette di loro furono posti agli arresti domiciliari. Il giudice: "Solo chiacchierate tra colleghi"

Dopo oltre sei anni il tribunale di Venezia ha archiviato la maxi indagine sui presunti concorsi truccati in ambito universitario a carico di 44 professori e ricercatori di Diritto tributario di tutta Italia. L’indagine – denominata “Chiamata alle armi – venne lanciata dalla procura di Firenze nel settembre 2017 ed ebbe grande risalto sugli organi di informazione: sette docenti finirono agli arresti domiciliari, altri 22 furono interdetti dall’insegnamento per un anno, la Guardia di Finanza eseguì all’alba oltre 150 perquisizioni presso uffici pubblici, abitazioni private e studi professionali. A far balzare l’inchiesta sulle prime pagine fu anche il coinvolgimento di Augusto Fantozzi, più volte ministro tra il 1995 e il 1998 nei governi Dini e Prodi, e professore ordinario di Diritto tributario (all’epoca dei fatti già in pensione), poi deceduto nel 2019. 

 

L’inchiesta prese le mosse dal presunto tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore, candidato al concorso per l’abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento del diritto tributario, a ritirare la propria domanda per favorire un altro soggetto, promettendogli che si sarebbero adoperati per la sua abilitazione in una successiva tornata. Secondo i pm si erano verificati “sistematici accordi corruttivi” tra docenti universitari di Diritto tributario per spartirsi l’assegnazione di abilitazioni all’insegnamento in base a “valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”. 
Per giorni i quotidiani pubblicarono stralci di intercettazioni che sembravano non lasciare dubbi circa l’esistenza di accordi corruttivi, senza però specificare dove fossero le  “utilità”, vista l’elementare differenza tra l’abilitazione nazionale (che non dà diritto a nulla) e i concorsi veri e propri realizzati dagli atenei al loro interno

 

L’indagine è durata ben sei anni. Per questioni di competenza territoriale è passata prima da Firenze a Pisa, infine a Venezia. Martedì il tribunale veneziano ha archiviato le posizioni di tutti i 44 indagati, accogliendo la richiesta della procura, sottolineando l’“insussistenza di un credibile quadro probatorio da sottoporre al vaglio del dibattimento fondandosi le ipotesi di accusa sostanzialmente sulla base di stralci di intercettazioni telefoniche e ambientali informali” che “si risolvono in una congerie di commenti” sui titoli e sui percorsi professionali dei vari candidati. Conversazioni che, secondo il giudice, non possono fondare “nessuna certezza di veridicità e nemmeno di corrispondenza reale delle valutazioni al pensiero degli interlocutori come è ovvio che sia in occasione di chiacchierate tra colleghi”. Insomma, altro che sistema corruttivo, erano solo chiacchiere.

 

Uno smacco per la procura di Firenze. A lanciare la maxi indagine furono i pm Paolo Barlucchi e l’aggiunto Luca Turco, noto per il suo attivismo accusatorio nei confronti di Matteo Renzi. Un accanimento giudiziario che da Renzi si è allargato a tutta la famiglia, e anche a conoscenti e amici dell’ex premier (senza però mai ottenere risultati sul piano processuale). 

 

L’archiviazione a Venezia rappresenta comunque la fine di un incubo per gli indagati. Tra questi Mauro Beghin, professore ordinario di Diritto tributario all’Università di Padova, che a causa dell’inchiesta venne interdetto dall’insegnamento per un anno: “L’interdizione arrivò a pochissimi giorni dall’inizio del corso – ricorda al Foglio Beghin, difeso dall’avvocato Lorenzo Zilletti – Non poter entrare nell’aula dai miei studenti fu un colpo durissimo. L’interdizione di un anno è stata molto dura da gestire”. Beghin racconta anche come ha vissuto questi sei lunghi anni: “Il tempo logora e appesantisce le situazioni. Ho vissuto l’emarginazione nell’ambito accademico. Sono uscito dal giro dei convegni e delle abilitazioni. Le uniche cose che ho continuato a fare sono scrivere e studiare. Si è trattato di un periodo lunghissimo che ha segnato profondamente la mia esistenza”. E sulla giustizia penale dice: “Finché non la si vive sulla propria pelle non la si capisce fino in fondo. Mi sono reso conto che è un tritacarne. La cosa peggiore è il tempo: sei anni sono un tempo troppo lungo”.

 

“L’archiviazione del gip di Venezia mette la parola fine a un’inchiesta durata sette anni che ha coinvolto decine di docenti universitari e professionisti”, commenta l’avvocato Antonio D’Avirro, legale di alcuni degli indagati. “Spiace che questa bella notizia arrivi troppo tardi per il professor Augusto Fantozzi”, aggiunge il penalista fiorentino, che ha difeso anche l’ex ministro.