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La Consulta chiude il “caso Zanon”, ma forse è il caso di riaprire il tema del dissenso

Giacinto della Cananea

Poiché la società italiana è sempre più spesso segnata da differenze, non sarebbe giusto ridiscutere la scelta di non consentire la manifestazione del dissenso ai giudici della Corte costituzionale?

I​l comunicato emesso dalla Corte costituzionale in merito alle polemiche degli ultimi giorni sulla sentenza riguardante le intercettazioni di un parlamentare presenta interesse per un duplice motivo: per il modo asciutto in cui essa ha chiuso la vicenda, dopo che l’ex componente della Corte che l’aveva aperta aveva espresso il proprio rammarico, e per l’argomento utilizzato allo scopo di ribadire la necessità di mantenere riservata la discussione che si svolge in camera di consiglio

 

​Il comunicato afferma che la “riservatezza è posta a garanzia della piena libertà di confronto tra i giudici e dell’autonomia e indipendenza della Corte”. Dunque, la dialettica tra le varie interpretazioni possibili e tra i giudizi di valore che così spesso emergono può esplicarsi soltanto all’interno della Corte, non all’esterno. Altrimenti, sarebbe esposta a rischio l’autonomia e l’indipendenza della Corte. L’assunto su cui questa argomentazione si fonda è che, siccome i suoi giudici sono nominati per una durata determinata, se le loro opinioni fossero note, la loro indipendenza sarebbe esposta a rischio. Secondo una tesi distinta, ma convergente nelle conclusioni, è indispensabile che la Corte parli con una sola voce, perché ciò rende più autorevole la soluzione da essa prescelta.

 

​Sono argomentazioni collaudate, ma non risolutive. Il primo argomento, da un lato, conferma la differenza tra la nostra Corte costituzionale e la Corte suprema americana, i cui giudici sono nominati a vita: una scelta che, tra l’altro, contribuisce a evitare che essi possano essere interessati ad altri incarichi. Dall’altro lato, è un argomento che può essere messo in discussione alla luce dell’esperienza tedesca, dove ai giudici costituzionali è consentito esprimere opinioni dissenzienti, pur se essi non si avvalgono sovente di questa facoltà. 

 

E’ discutibile, a maggior ragione, l’argomento secondo cui la Corte deve parlare con una sola voce. In senso contrario, vi sono sia ragioni di ordine morale, ossia che è discutibile obbligare un giudice a seguire la maggioranza da cui dissente, soprattutto in casi eticamente controversi, sia ragioni di ordine pratico. Infatti, il dissenso può servire a informare l’opinione pubblica che una determinata questione è più controversa di quanto appaia, nonché a promuovere una discussione nelle istituzioni politiche, cui spetta adottare le leggi e adeguarle ai cambiamenti che intervengono nella società. Poiché la società italiana è sempre più spesso segnata da differenze, non sarebbe giusto ridiscutere la scelta di non consentire la manifestazione del dissenso, su cui lo stesso presidente della Corte – Augusto Barbera – in passato ha espresso dubbi?

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