scenari
La Consulta chiude il “caso Zanon”, ma forse è il caso di riaprire il tema del dissenso
Poiché la società italiana è sempre più spesso segnata da differenze, non sarebbe giusto ridiscutere la scelta di non consentire la manifestazione del dissenso ai giudici della Corte costituzionale?
Il comunicato emesso dalla Corte costituzionale in merito alle polemiche degli ultimi giorni sulla sentenza riguardante le intercettazioni di un parlamentare presenta interesse per un duplice motivo: per il modo asciutto in cui essa ha chiuso la vicenda, dopo che l’ex componente della Corte che l’aveva aperta aveva espresso il proprio rammarico, e per l’argomento utilizzato allo scopo di ribadire la necessità di mantenere riservata la discussione che si svolge in camera di consiglio.
Il comunicato afferma che la “riservatezza è posta a garanzia della piena libertà di confronto tra i giudici e dell’autonomia e indipendenza della Corte”. Dunque, la dialettica tra le varie interpretazioni possibili e tra i giudizi di valore che così spesso emergono può esplicarsi soltanto all’interno della Corte, non all’esterno. Altrimenti, sarebbe esposta a rischio l’autonomia e l’indipendenza della Corte. L’assunto su cui questa argomentazione si fonda è che, siccome i suoi giudici sono nominati per una durata determinata, se le loro opinioni fossero note, la loro indipendenza sarebbe esposta a rischio. Secondo una tesi distinta, ma convergente nelle conclusioni, è indispensabile che la Corte parli con una sola voce, perché ciò rende più autorevole la soluzione da essa prescelta.
Sono argomentazioni collaudate, ma non risolutive. Il primo argomento, da un lato, conferma la differenza tra la nostra Corte costituzionale e la Corte suprema americana, i cui giudici sono nominati a vita: una scelta che, tra l’altro, contribuisce a evitare che essi possano essere interessati ad altri incarichi. Dall’altro lato, è un argomento che può essere messo in discussione alla luce dell’esperienza tedesca, dove ai giudici costituzionali è consentito esprimere opinioni dissenzienti, pur se essi non si avvalgono sovente di questa facoltà.
E’ discutibile, a maggior ragione, l’argomento secondo cui la Corte deve parlare con una sola voce. In senso contrario, vi sono sia ragioni di ordine morale, ossia che è discutibile obbligare un giudice a seguire la maggioranza da cui dissente, soprattutto in casi eticamente controversi, sia ragioni di ordine pratico. Infatti, il dissenso può servire a informare l’opinione pubblica che una determinata questione è più controversa di quanto appaia, nonché a promuovere una discussione nelle istituzioni politiche, cui spetta adottare le leggi e adeguarle ai cambiamenti che intervengono nella società. Poiché la società italiana è sempre più spesso segnata da differenze, non sarebbe giusto ridiscutere la scelta di non consentire la manifestazione del dissenso, su cui lo stesso presidente della Corte – Augusto Barbera – in passato ha espresso dubbi?