Contraddizioni
“Mezzo bavaglio” e mezze verità: Santalucia (Anm) e il caso Verdini
Intervistato da Repubblica, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati prima smentisce il pericolo "bavaglio" sull'inchiesta delle commesse Anas, poi si lancia in considerazioni non proprio liberali sul rapporto fra giustizia e informazione
Persino Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, interpellato da Repubblica sul recente caso Verdini e il presunto “bavaglio” imposto ai giornalisti dall’emendamento Costa, ha dovuto ammettere: “L'arresto e i suoi motivi certamente sarebbero conosciuti” se la norma fosse già operativa. Insomma, ma quale “bavaglio”: anche con la norma Costa già in vigore, i giornalisti sarebbero stati liberi (e ci mancherebbe altro) di dare notizia delle misure cautelari disposte dal tribunale di Roma nell’ambito dell’indagine sulle commesse Anas (cinque persone poste agli arresti domiciliari, tra cui il figlio dell’ex senatore Denis Verdini, Tommaso, con le accuse di corruzione, traffico di influenze illecite e turbativa d’asta).
Dopo aver clamorosamente smentito l’allarme “bavaglio”, però, il presidente dell’associazione delle toghe non se l’è sentita di zittire del tutto le grida del quotidiano militante, aggiungendo che la norma Costa tuttavia “impedirebbe, in casi come questo di particolare complessità, una conoscenza compiuta e corretta di ciò che è accaduto”.
Sapere che per il presidente del sindacato dei magistrati la lettura di un’ordinanza di custodia cautelare permetterebbe una “conoscenza compiuta e corretta” dei fatti accaduti è veramente stupefacente. Non solo perché le indagini in questione sono ancora in corso, ma soprattutto perché, come i lettori hanno potuto verificare in questi giorni (c’è persino un quotidiano che ha pubblicato l’ordinanza integrale sul proprio sito), il provvedimento adottato dal gip di Roma è pieno di stralci di informative, intercettazioni e ricostruzioni che ancora devono essere accertati sul piano giudiziario.
Quale “conoscenza compiuta e corretta di ciò che è accaduto” possono avere i cittadini sapendo che molte delle conclusioni a cui è giunta la gip potranno essere ribaltate al termine delle indagini, o in sede di impugnazione del provvedimento (a proposito, i quotidiani pubblicheranno anche l’eventuale ordinanza del tribunale del Riesame?), oppure in dibattimento?
Quale “conoscenza compiuta e corretta” permettono di avere le parti dell’ordinanza in cui vengono citate persone non indagate, anche di un certo peso istituzionale, come il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, e il sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze, Federico Freni? In un’intercettazione riportata in lungo e in largo sui giornali, per esempio, Fabio Pileri (socio di Tommaso Verdini) si spinge a parlare di un presunto accordo con la Lega nell’ambito della spartizione delle varie promozioni in Ferrovie dello stato: “Quando s’è fatto la lista d’accordo con Massimo – afferma l’indagato parlando con un imprenditore – quando nel Consiglio di amministrazione è passato con loro e gli ha dato una mano quello della Lega, lui ha fatto un accordo con quelli della Lega di futura collaborazione con Matteo e con noi tramite Freni un rapporto di intermediazione... ci ha chiesto una lista di persone interne a quel gruppo da aiutare e noi gli abbiamo messo un po’ di persone che ci hanno dato i nostri”. Quale accordo con la Lega? Quale “collaborazione con Matteo”? Nessuno lo sa.
In un’altra intercettazione, Pileri afferma in maniera eloquente: “Freni si è messo a disposizione”. Il nome del sottosegretario al Mef, pur non risultando tra gli indagati, viene citato innumerevoli volte nell’ordinanza di custodia cautelare, anche come partecipante a diversi incontri tra i principali indagati. Tutto questo è opportuno? E, ancora, consente una “conoscenza compiuta e corretta” del ruolo rivestito da Freni?
“Chi fa il mio nome millanta” ha spiegato Freni a Repubblica, aggiungendo che “l’unica disponibilità che mi riconosco è quella all’ascolto: vale per tutte le persone che incontro e ricevo, dalla prima all’ultima”.
A tutto ciò nell’ordinanza si aggiungono dettagli ancor più superflui sui luoghi degli incontri tra gli indagati (vengono prediletti “luoghi non istituzionali e molto rumorosi”), su frasi intercettate chissà quanto vere e sfoghi in romanesco. Che uno si chiede: è proprio necessario? Da qui nascerebbe la “conoscenza compiuta e corretta”?