Il caso Capristo e il collasso della repubblica dei pm
La parabola dell'ex capo della procura di Trani, appena condannato in primo grado, sempre promosso in una carriera costellata da disastri, incarna chiaramente le disfunzioni della giustizia italiana e del Csm
Il tribunale di Potenza ha condannato a due anni e sei mesi di reclusione per tentata induzione indebita e falso ideologico Carlo Maria Capristo. Il nome forse non dirà molto, ma di certo è più evocativo il suo ruolo: è lo storico capo della leggendaria procura di Trani e, successivamente, della procura di Taranto. Secondo i giudici di primo grado, che hanno in buona parte confermato l’ipotesi dell’accusa, quando era a Trani Capristo avrebbe indotto la giovane pm Silvia Curione (che poi lo ha denunciato) a compiere atti per agevolare i tre facoltosi imprenditori Mancazzo (condannati insieme a Capristo).
Capristo inoltre è rinviato a giudizio, sempre a Potenza, per un processo che però riguarda il suo successivo incarico a Taranto: avrebbe, secondo l’inchiesta del procuratore Francesco Curcio, asservito la sua funzione di capo della procura, d’accordo con l’onnipresente avvocato-faccendiere Piero Amara e l’ex commissario straordinario dell’Ilva Enrico Laghi, in cambio di favori e vantaggi economici per l’avvocato Giacomo Ragno, suo inseparabile sodale dai tempi di Trani.
In questa sede non ci interessano molto i processi e le sentenze, che peraltro non sono definitive. Ma le disfunzioni della giustizia che emergono da queste inchieste e su cui la magistratura dovrebbe fare un’autocritica e una riflessione profonda. Ciò che sorprende, e dovrebbe allarmare, ripercorrendo l’intera carriera di Capristo dagli inizi a oggi, è come sia stato possibile che il Csm lo abbia sempre promosso e nominato al vertice di importanti procure nonostante i risultati disastrosi. Da Bari a Trani fino a Taranto, facendo diventare metastatico un sistema basato sulla prevaricazione e il senso d'impunità.
La storia di Capristo parte negli anni Novanta, quando diventa una star nazionale della magistratura per l’inchiesta sull’incendio del teatro Petruzzelli di Bari. Il rampante pm fece arrestare l’ex gestore del teatro, Ferdinando Pinto – colui che aveva rilanciato il Petruzzelli – con l’accusa di aver commissionato il rogo del suo teatro alla malavita barese con lo scopo di intascare i soldi dell’assicurazione. L’accusa di Capristo si basava sulla fondamentale testimonianza di un malato terminale, che rappresenta una delle pagine più raccapriccianti della storia della giustizia italiana. La storia fu raccontata, proprio sul Foglio, da Lino Jannuzzi. Capristo si presentò in una clinica, accompagnato da un informatore incappucciato che faceva il “cartomante”, per interrogare un musicologo amico di Pinto malato di Aids, moribondo e incapace di parlare. Sulla base di quei rantoli estorti a una persona in fin di vita Pinto venne arrestato: sarà completamente assolto solo dopo 20 anni.
Una vicenda del genere, in un paese prossimo alla normalità, stroncherebbe la carriera di chiunque. Invece, in Italia, la carriera di Capristo decolla. Il Csm gli affida la guida della procura di Trani, che è entrata nella storia e nella mitologia come simbolo di una magistratura fuori controllo. La procura di Trani diventa celebre in tutto il mondo per le inchieste contro le agenzie di rating, le banche e i complotti della finanza globale ai danni dell’Italia. Standard & Poor’s, Fitch, Moody’s, American Express, Banca d’Italia, Deutsche Bank... tutti assolti o archiviati. Sempre. Inevitabilmente.
Mentre le inchieste dei pm di Trani sono finite nel nulla, ad andare avanti sono state le inchieste su di loro. La procura guidata da Capristo, infatti, è stata al centro di uno dei più grandi scandali giudiziari: il “sistema Trani” di compravendita di sentenze e taglieggiamenti ai danni di imprenditori che vede a processo tre magistrati, di cui uno ha già ammesso di aver preso tangenti.
Altri due pm di Trani, Alessandro Pesce e Michele Ruggiero – il celebre pm con la cravatta tricolore in lotta contro la finanza plutocratica – sono stati condannati in via definitiva per violenze: minacciavano i testimoni per costringerli ad accusare gli indagati. Quell’inchiesta era partita con l’arresto dell’allora sindaco di Trani, Luigi Riserbato, accusato di essere a capo di una cupola che controllava il comune. Dopo nove anni, l’ex sindaco è stato completamente assolto, mentre il pm è stato condannato. Ma l’ulteriore paradosso è che, mentre l’ex sindaco Riserbato sulla sola base dell’accusa e delle misure cautelari si è dovuto dimettere e ha lasciato la politica, Ruggiero continua a fare il pm a Bari anche dopo la condanna definitiva. E persino dopo la sospensione per due anni decisa dal Csm l'anno scorso e mai diventata effettiva. C’è un ricorso in Cassazione.
E così se secondo la legge Severino un politico amministratore decade dopo il primo grado di giudizio (ma in realtà è costretto a dimettersi anche prima, come nel caso di Riserbato, perché arrestato per pericolo di reiterazione del reato), nel caso dei magistrati si può rimanere a svolgere la funzione di pm fino all’ultimo grado di giudizio e anche oltre. Persino se la condanna definitiva riguarda l’esercizio delle proprie funzioni, come nel caso della violenza sui testimoni.
La procura di Trani di Capristo è anche l’ufficio dove l’avvocato Piero Amara (quello della Loggia Ungheria) va a depositare il dossier sul “falso complotto Eni”, su cui ora c’è un processo a Milano. I due si ritroveranno poi a Taranto. Questo sistema torbido fatto di abusi e corruzione, egocentrismo e prevaricazione, era evidente a chiunque volesse vederlo. Fu persino denunciato in un libro-romanzo da un giudice, Roberto Oliveri del Castillo, evidentemente disgustato da ciò che accadeva.
Ma mentre il cancro del “sistema Trani” si faceva sempre più grande, il Csm decise di farlo diventare una metastasi promuovendo Capristo alla guida della procura di Taranto, quella che di fatto decide della vita e della morte dell’Ilva. Ma le responsabilità non riguardano solo la magistratura. Il principale sponsor di Capristo nel Csm è stato Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale ministro per le Riforme del governo Meloni, che sottolineava lo “straordinario profilo professionale” di Capristo. E il Csm ha approvato.