Processo d'appello
L'assoluzione di Davigo legalizzerebbe il dossieraggio al Csm, dice il pg di Brescia
La procura generale bresciana ha chiesto la conferma della condanna di primo grado per l’ex pm di Mani pulite, imputato di rivelazione di segreto d’ufficio sui verbali di Amara, sottolineando le paradossali ripercussioni che un'eventuale assoluzione avrebbe sul piano istituzionale
Nel caso in cui Piercamillo Davigo venisse assolto dovremmo accettare la trasformazione del Consiglio superiore della magistratura in una centrale di dossieraggio. E’ una delle motivazioni (completamente passate inosservate) con cui il procuratore generale di Brescia, Enrico Ceravone, ha chiesto la conferma della condanna di primo grado a un anno e tre mesi di reclusione per l’ex pm di Mani pulite, imputato di rivelazione di segreto d’ufficio.
Nel marzo 2020 Davigo – all’epoca consigliere del Csm – convinse il pm milanese Paolo Storari a consegnargli i verbali di Amara sulla fantomatica loggia Ungheria e poi ne rivelò il contenuto in maniera informale a una decina di soggetti, tra cui il pg della Cassazione Giovanni Salvi, il vicepresidente del Csm David Ermini, cinque componenti del Csm, il senatore Nicola Morra, la sua segretaria e la sua assistente giuridica. Storari si era mosso con l’intenzione di tutelarsi dall’inerzia a suo dire praticata dai vertici della procura attorno all’inchiesta. Davigo ha sempre sostenuto di essere intervenuto “per far tornare la vicenda nel binario della legalità”. Nel corso del processo, però, ha dichiarato di aver riferito ai soggetti che lo circondavano che il nome di Sebastiano Ardita, allora collega al Csm, era tra quelli inseriti nella presunta loggia Ungheria, ammettendo quindi di aver usato dei verbali segreti (contenenti dichiarazioni non ancora verificate) per delegittimare un suo ex amico ed ex compagno di corrente, che infatti si ritrovò improvvisamente isolato al Consiglio superiore.
Proprio prendendo spunto da quanto avvenuto ai danni di Ardita, il pg bresciano Ceravone ha sottolineato le implicazioni istituzionali che deriverebbero da un’eventuale assoluzione di Davigo: “Diciamo pure che la si pensi diversamente, e cioè che ogni singolo consigliere possa attivarsi per ricevere notizie riservate o addirittura di atti secretati. All’indomani ci si ritroverebbe in una sorta di futuro distopico. Si dovrebbe affermare il potere di ogni pm di svelare notizie o addirittura consegnare atti a un qualsiasi consigliere, sia esso togato o non togato, che si assumerebbe dunque impropriamente il compito di veicolare informalmente al di fuori dei previsti canali istituzionali notizie altamente riservate. Con il rischio di trasformare il Csm da strumento di tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura in un luogo di immediata amplificazione di qualsiasi pur vaga notizia di reato, con un allargamento esponenziale dei possibili destinatari dei segreti istruttori”.
Per la prima volta in maniera chiara, dunque, la pubblica accusa ha posto l’attenzione su ciò che è davvero in ballo nella vicenda Davigo, cioè non tanto (e solo) la liceità della condotta dell’ex pm, quanto l’equilibrio tra le istituzioni del nostro paese. Come ben evidenziato dal pg Ceravone, infatti, nel caso in cui il comportamento di Davigo venisse ritenuto lecito, vorrebbe dire che ciascun consigliere del Csm potrebbe legittimamente ricevere atti segreti di indagine da qualsiasi pm e usare queste informazioni riservate per regolare i conti con le persone a lui non gradite, finendo pure per condizionare il funzionamento di un organo di rilevanza costituzionale.
Non solo. Come affermato in udienza dall’avvocato Fabio Repici, legale di Ardita, “poiché non sarebbe opponibile nessun segreto da parte dell’autorità giudiziaria dovremmo ritenere legittimo l’operato di un qualunque consigliere del Csm che si rechi presso un ufficio gip a interrogarne i componenti per chiedergli se ci sono misure cautelari su Tizio o su Caio”. In altre parole, i consiglieri del Csm godrebbero di uno scudo penale per poter ottenere e utilizzare a piacimento notizie coperte da segreto. Un futuro distopico, appunto.
Per il pg di Brescia “è proprio nella pretesa di una sorta di stato di necessità, nell’uso informale e privato del segreto che si palesa la contraddittorietà delle argomentazioni difensive” dei legali di Davigo: “Si sostiene che avrebbe potuto esserci un danno per le indagini, ma proprio questa esigenza era da tener presente come ragione ostativa alla ricezione e tanto più alla divulgazione dei verbali”, ha notato Ceravone, ricordando che secondo la previsione delle circolari spettava al capo dell’ufficio valutare la trasmissione al Csm di una relazione su indagini in corso.
La conclusione è che “vi è stata una gestione personale della notizia segreta, con grave discredito del consigliere Ardita, isolato dal punto di vista personale, e un grave danno per le indagini”. La sentenza è attesa il 7 marzo.