lo scandalo
Dietro il caso dossier: cosa è andato storto alla Direzione nazionale antimafia
Tante informazioni riservate e pochi controlli: è bastata l’infedeltà di due soggetti, un finanziere e un magistrato, per trasformare la procura antimafia in un colabrodo. Fino al 2022, quando Melillo ci ha messo una pezza
Per comprendere come sia stato possibile che il finanziere Pasquale Striano abbia potuto – secondo la procura di Perugia – consultare in maniera abusiva per 800 volte le banche dati segrete a disposizione della Direzione nazionale antimafia (Dna), in cerca di informazioni riservate su politici, personaggi dello spettacolo e sportivi (in quattro occasioni insieme al pubblico ministero Antonio Laudati), è necessario interrogarsi sui poteri della Dna e sulla sua organizzazione interna. Nelle ultime ore, data l’attenzione riposta da Striano soprattutto a politici di area centrodestra, la procura nazionale antimafia è stata rappresentata come una sorta di centrale di dossieraggio in mano alla sinistra.
Si è detto che sarebbe stato il procuratore Franco Roberti (poi divenuto europarlamentare del Pd) a mettere le basi durante il suo mandato (2013-2017) per l’accentramento in capo alla Dna del controllo delle Sos, le segnalazioni di operazioni bancarie sospette provenienti dall’ufficio antifrodi della Banca d’Italia, missione poi portata a termine da Federico Cafiero De Raho, sotto la cui gestione (2017-2022) sarebbero avvenuti gli accessi abusivi di Striano e Laudati. Le cose, in realtà, non sono andate così.
Non sono stati infatti Roberti né De Raho ad accentrare la trasmissione delle Sos alla Dna. E’ stato il legislatore a farlo, attraverso il decreto legislativo n. 90 del 2017, e d’altronde sarebbe stato difficile pensare il contrario, cioè che il capo della Dna potesse ampliare di sua iniziativa i poteri della struttura. L’articolo 1 del decreto legislativo stabilisce chiaramente che la Dna “riceve tempestivamente dalla Uif (l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, ndr) per il tramite del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ovvero, per quanto attinente alle segnalazioni relative alla criminalità organizzata, per il tramite della Direzione investigativa antimafia, i dati attinenti alle segnalazioni di operazioni sospette e relativi ai dati anagrafici dei soggetti segnalati o collegati”. Dagli atti parlamentari risulta che nessuno (inclusi gli esponenti del centrodestra) mosse critiche contro questo rafforzamento della Dna, che veniva realizzato in seguito agli ottimi risultati ottenuti nella lotta contro il terrorismo.
Le segnalazioni sospette vengono incrociate con le informazioni contenute nella Sidda/Sidna, la banca dati centrale della Dna dove confluiscono tutti i dati relativi alle indagini e i procedimenti pendenti o definiti presso le singole procure distrettuali. Le Sos che trovano corrispondenza vengono inviate alle procure distrettuali, dopo essere state approfondite all’interno della Dna.
L’aumento delle informazioni riservate in mano alla Dna sarebbe dovuto andare di pari passo con il potenziamento dei meccanismi di controllo sulle modalità di accesso a queste informazioni. E’ qui, invece, che è avvenuto il guaio. Il finanziere Striano non soltanto accedeva a Sidda/Sidna, ma anche ad altre banche dati, come Serpico (dati anagrafici e redditi), Siva (segnalazioni di operazioni sospette), Sdi (precedenti di polizia), Catasto, Infocamere e Telemaco per raccogliere informazioni su chiunque gli passasse per la testa. Tutto ciò senza che vi fosse un impulso investigativo, cioè – secondo i pm perugini – in maniera abusiva. In alcune occasioni, secondo gli inquirenti, questi accessi abusivi sarebbero stati richiesti da tre giornalisti del Domani, ora anche loro indagati, che poi avrebbero pubblicato le notizie sul quotidiano.
Il magistrato responsabile del gruppo Sos era proprio Laudati, che, oltre a non accorgersi di ciò che avveniva, sarebbe stato protagonista anche lui con Striano di alcuni accessi abusivi. A Laudati sarebbe toccato il compito di segnalare al procuratore nazionale antimafia (all’epoca De Raho) eventuali irregolarità, cosa mai avvenuta.
Ciò che è certo è che quando De Raho venne sostituito da Giovanni Melillo, nel maggio 2022, quest’ultimo, resosi probabilmente conto della debolezza dei meccanismi di controllo, decise di introdurre per la prima volta criteri di tracciabilità sulle procedure di accesso alle banche dati, con la supervisione di più magistrati e non soltanto uno come Laudati (nel frattempo rimosso dall’incarico). Non a caso, dopo l’arrivo di Melillo gli accessi abusivi sarebbero terminati.
Insomma, la verità potrebbe essere molto amara: tra il 2018 e il 2022 l’infedeltà di due soggetti, un finanziere e un magistrato, sarebbe stata sufficiente per trasformare la Dna in un colabrodo. A vantaggio di chi è ancora da chiarire.