L'editoriale dell'elefantino
La Consulta ordina di non speculare sulla prescrizione. La vittoria dell'ovvio garantista
Che altro sarebbe un’aggressione giudiziaria e investigativa, come sancisce l’assoluzione postuma nel caso Consip, se non una operazione a sfondo politico? La meraviglia delle vecchie certezze manettare che cominciano a indebolirsi
Dunque quando dicevamo che dietro all’attacco giudiziario a Renzi padre e a Lotti e agli altri c’era un colpo politico e non un’esigenza di giustizia, visto che i metodi degli Scafarto e degli altri onorabili membri dell’Arma erano spettacolarmente eccepibili, avevamo ragione. Dunque quando dicevamo, in polemica con l’illustre Gian Carlo Caselli, il solito santo a cavallo del sistema processuale più celebrato del mondo, che non si poteva dare del mafioso a Andreotti dopo la sua assoluzione, magari con la scusa che la corte aveva redatto motivazioni assurde, dadaiste, di una sentenza per prescrizione, avevamo ragione. Dunque quando dicevamo che sottoporre a metodi inquisitori e di intercettazione di polizia i parlamentari era una violazione flagrante della divisione dei poteri, avevamo ragione. Ma no. Non avevamo ragione. Eravamo semplicemente dalla parte dell’ovvio garantista.
Se la famiglia del presidente del Consiglio, allora Renzi, e i suoi ministri e collaboratori, e gli imprenditori che lo sostenevano, venivano incastrati, per dir così, con metodi borderline da personaggi di grande volubilità istituzionale, uomini degli apparati alcuni dei quali poi destinati alla carriera politica, parlare di golpe giudiziario era il minimo sindacale. Ciò che è stato pervicacemente negato per anni, dico “anni” e non è uno scherzo né un’esagerazione, dalla solita pletora di mozzorecchi e dalla platea degli ignavi che decise di volersela bere. E che altro sarebbe un’aggressione giudiziaria e investigativa, come sancisce l’assoluzione postuma rispetto ai fatti, se non una operazione a sfondo politico? Era davvero così difficile capirlo? No, era solo ovvio, realistico, e opporsi al reale quando ha le sembianze dell’ovvio è qualcosa di orwelliano, allude a una idea totalitaria del diritto.
Quanto a Andreotti. Un uomo di stato, che per gusto del paradosso e della serietà ricostruttiva della politica democristiana in Sicilia, definimmo qui un “colluso di rango”, poteva avere responsabilità politiche varie ma non era un mafioso. Dargli pervicacemente del mafioso per via di una formula di assoluzione che ora la Corte costituzionale decreta illegale e antigiuridica voleva dire intingere il pennino nel losco pregiudizio attribuito all’opinione popolare. Anche qui colpisce l’elemento dell’ovvio. La prescrizione significa una cosa sola: che lo stato con il suo sistema di giustizia non è riuscito a dimostrare niente di un imputato entro il termine di tempo giudicato corretto per il raggiungimento di una sentenza, quindi la cosa non si può spacciare per condanna “per la contraddizion che nol consente”. Se c’è prescrizione, se non c’è punizione o galera o altro che abbia la sostanza di una condanna in giudizio, allora non c’è condanna, non c’è l’attribuzione del reato. Negare questo fatto era solo un modo di riscrivere, progetto confessato ampiamente dalla magistratura d’assalto e blindata, la storia. Nulla a che fare con il diritto.
Quanto alle intercettazioni degli eletti del popolo, senza previa autorizzazione del ramo del Parlamento a cui appartengono, anche qui l’ovvio domina. Che ora venga riconosciuto sempre più spesso e più autorevolmente l’abuso di potere contro membri del legislativo da parte dell’ordine giudiziario, in casi specifici come quello degli ascolti indebiti, è solo un capitolo della più generale questione delle autorizzazioni a procedere. Per anni e anni abbiamo sostenuto che i padri della Costituzione sapevano benissimo a quali eventuali abusi poteva dar luogo l’autorizzazione a procedere in giudizio contro i parlamentari, ovvio, ma Moro, Togliatti, Terracini, Dossetti, De Gasperi, La Malfa e molti altri padri preferirono fissare questa norma, cancellata in un’ordalia di giustizialismo populista all’epoca delle inchieste di Milano contro la corruzione, e correre questo rischio piuttosto che incorrere nel rischio opposto, quello sì contrario a spirito e lettera costituzionali, cioè dare alla magistratura, scelta per concorso amministrativo, un potere non condizionato di controllo su chi è stato scelto per fissare le norme di legge e esercitare un potere di diretta derivazione popolare. Ovvio. E bisognerà provvedere anche a questo in un momento, come sa il dottor Davigo, in cui vecchie certezze manettare cominciano a indebolirsi.