Le parole
Barbera: cari politici non chiedete ai giudici di fare il vostro mestiere
La Corte non aspira ad assumere impropri poteri legislativi, teme anzi di essere costretta a farlo. La relazione del presidente sull'attività della Corte costituzionale e il richiamo sul fine vita e sulle coppie dello stesso sesso
La relazione di Augusto Barbera sull’attività della Corte costituzionale si è concentrata sull’equilibrio dei poteri e soprattutto sull’esigenza di leale collaborazione tra il Parlamento, cui spetta di legiferare, e la corte che deve assicurare il rispetto dei principi costituzionali.
La preoccupazione di Barbera è che l’inerzia del legislatore di fronte a temi sui quali la Consulta ha rilevato problemi di aderenza alla Costituzione, finisca per trasformare le sue sentenze in atti “manipolativi” della legislazione. La Corte non aspira ad assumere impropri poteri legislativi, teme anzi di essere costretta a farlo. È con questo spirito che ha espresso “un certo rammarico per il fatto che, nei casi più significativi, il legislatore non sia intervenuto, rinunciando ad una prerogativa che ad esso compete, obbligando questa corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione”.
Barbera chiede un intervento legislativo che dia seguito alla sentenza Cappato “sul fine vita” e uno “che tenga conto del monito relativo alla registrazione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso”. Sottolinea anche che l’assenza di norme precise provoca una proliferazione di decisioni delle regioni sul fine vita, dei Comuni sulle iscrizioni anagrafiche, il che conferma che se chi deve farlo non si assume la responsabilità di decidere, si crea un caos istituzionale.
Il punto chiave del suo ragionamento sta nella frase in cui si sottolinea che la Corte è stata obbligata ad assumere proprie soluzioni di merito: è l’esatto contrario di una rivendicazione di una surrettizia supplenza legislativa della Consulta. Barbera ha anche spiegato che in casi complessi, come quelli citati e in altri più attinenti a questioni economiche e sociali, la Consulta si trova di fronte alla duplice necessità di sanzionare norme che non corrispondono alla costituzione ma anche di evitare che la loro abrogazione, in assenza di nuove norme, crei situazioni in cui si determinano altre inadempienze costituzionali. Se si dichiara illegittimo l’articolo del codice penale che sanziona l’aiuto al suicidio, perché è stato usato per giudicare comportamenti considerati legittimi, si finisce per togliere le sanzioni anche a quelli illegittimi.
La Corte ha in vari casi chiesto al Parlamento di legiferare entro un certo termine temporale, in modo da superare questa contraddizione, ma non sempre, non soprattutto nei casi citati, il tempo concesso è stato utilizzato dal legislatore per trovare le soluzioni richieste. Sono note le cause politiche di questa inerzia, anche se naturalmente Barbera non ne ha parlato: c’è chi preferisce “subire” una sentenza piuttosto che assumersi la responsabilità di emanare norme su materie controverse e sulle quali pesano prevenzioni culturali e ideologiche.
Naturalmente sono del tutto legittime anche le posizioni di chi vuole evitare che la delimitazione dell’assistenza al suicidio diventi una specie di legalizzazione generalizzata dell’eutanasia, o di chi vuole evitare che attraverso il riconoscimento anagrafico dei figli di coppie omogenitoriali passi anche l’accettazione delle pratiche di utero in affitto. Però anche queste esigenze devono trovare il modo di esprimersi in un confronto che si concluda con un atto legislativo, altrimenti restano petizioni di principio che vengono nei fatti sommerse dal caos istituzionale che si crea per effetto dell’assenza di una legislazione adeguata. Il monito di Barbera dovrebbe servire a superare queste ambiguità e queste inutili furbizie.