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Le carceri italiane sono più incivili di quelle ungheresi. Salis ci pensi bene prima di tornare in Italia

Ermes Antonucci

Sovraffollamento, suicidi, condizioni degradanti. Per la Corte europea dei diritti dell'uomo e per il Consiglio d’Europa, le prigioni italiane sono più incivili di quelle in Ungheria. Condanne e statistiche impietose

Per paradosso, a Ilaria Salis converrebbe restare in Ungheria ad affrontare il processo. Lì la trattano meglio. A suggerirlo sono i numeri impietosi relativi alle condanne ricevute dall’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) per le condizioni delle carceri e la violazione di alcuni diritti umani basilari, così come le statistiche del Consiglio d’Europa sulla situazione disastrosa del nostro sistema penitenziario. Partiamo dalla Cedu: da quando la Corte è stata istituita, nel 1959, fino al 2021 l’Italia è il terzo paese ad aver ricevuto più condanne (2.466), dopo Turchia e Russia. L’Ungheria ne ha ricevute 614. L’Italia è stata condannata 9 volte per tortura (l’Ungheria mai), 297 volte per violazione del diritto al giusto processo (21 l’Ungheria), 33 volte per trattamento inumano e degradante (38 l’Ungheria), addirittura 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi (344 l’Ungheria).

 

Quest’ultimo è un primato incontrastato per l’Italia. Insomma se Salis fosse stata processata da noi  avremmo dovuto aspettare anni prima di vederla in tribunale. Non l’avremmo vista, come è avvenuto di nuovo ieri a Budapest, ammanettata e trattenuta da un agente con una catena legata alla cintura, ma considerata l’accusa a lei rivolta (aggressione a due militanti di destra) Salis sarebbe stata trasferita dal carcere in manette e poi collocata in aula in un gabbiotto con sbarre metalliche, come avviene solitamente in Italia. Entrambi casi di trattamento contrario alla dignità della persona. Per questo non siamo in grado di dare lezioni a nessuno. Ancor di più se si guardano i dati del Consiglio d’Europa.

 

In una lettera Salis ha denunciato le condizioni indegne del carcere in cui si ritrova reclusa, con “cimici nel letto, scarafaggi e topi”. La denuncia ha generato la giusta indignazione di molti esponenti politici italiani. 

 

Ma guardiamo a cosa succede nelle carceri italiane, paragonandole a quelle ungheresi, prendendo in esame l’ultimo rapporto del Consiglio d’Europa, Space I, aggiornato al 31 gennaio 2022. All’epoca le nostre carceri erano tra le più sovraffollate d’Europa. Gli istituti di pena italiani ospitavano 54.372 detenuti a fronte di 50.862 posti. La densità penitenziaria in rapporto con la capacità ufficiale delle carceri era quindi del 106,9 per cento. Tradotto: ogni cento posti disponibili in carcere venivano ospitati quasi 107 detenuti. Al contrario, in Ungheria erano reclusi 18.619 detenuti, a fronte di 18.713 posti, per una densità penitenziaria del  99,5 per cento. 

 

Proseguiamo. Il rapporto sottolinea come in Italia su 54.372 detenuti, ben 16.339 (cioè il 30 per cento) erano ancora in attesa di sentenza definitiva. La percentuale in Ungheria era del 23,7 per cento

 

E ancora: nel 2021 in Italia si sono suicidati 57 detenuti in carcere (10,5 per cento ogni 10 mila detenuti). Nello stesso periodo in Ungheria si sono tolti la vita 8 detenuti (4,3 per cento ogni 10 mila detenuti).

 

Infine, il rapporto Space I riportava che in Italia erano detenute 15 madri insieme ai propri figli di pochi anni (in Ungheria tre).

 

Purtroppo le statistiche comparative si fermano al 2022. Sarebbe  interessante infatti sapere come la situazione delle carceri in Ungheria si è evoluta da allora, visto  che in Italia ha conosciuto un peggioramento evidente e drammatico. Oggi le carceri italiane ospitano 60.924 detenuti, a fronte di 51.187 posti, per un sovraffollamento del 119 per cento. Numeri indegni di un paese civile, non lontani da quelli che nel 2013 portarono l’Italia a essere condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamento inumano e degradante dei detenuti dovuto al sovraffollamento carcerario. 

 

La Cedu condannò l’Italia con una sentenza pilota: non solo accertò la violazione del diritto nel caso concreto, ma riconobbe l’esistenza di un problema strutturale nel nostro paese, che causava una violazione sistematica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. All’Italia venne dato un anno di tempo per ridurre il sovraffollamento carcerario, cosa che effettivamente avvenne. Dopo aver soddisfatto le richieste della Cedu, però, le istituzioni sono tornate ad abbandonare le carceri al loro destino infernale. 
Risultato: mentre il sovraffollamento non accenna a fermarsi, nel 2022 si è registrato il record storico di suicidi in carcere. Addirittura 84, uno ogni quattro giorni. Il dato è di poco sceso l’anno seguente (69). Ma da gennaio 2024 sono già 27 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere.

 

Anche le condizioni di detenzione rimangono critiche. Lo conferma l’ultimo rapporto pubblicato dall’associazione Antigone: “Nel 35 per cento degli istituti visitati c’erano celle in cui non erano garantiti 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta, cosa che spiega gli oltre 4.000 ricorsi accolti ogni anno in Italia per condizioni di detenzione inumane e degradanti. Nel 12,4 per cento c’erano celle in cui il riscaldamento non era funzionante. Nel 45,4 per cento degli istituti visitati c’erano celle senza acqua calda e nel 56,7 per cento celle senza doccia”.

 

Per quanto riguarda le modalità di gestione degli imputati nelle aule di giustizia, sarà pur vero che in Italia i detenuti non vengono trattenuti con delle catene legate alla cintura, ma quando si tratta di processi per reati di particolare gravità  è molto frequente l’uso di gabbiotti con sbarre di metallo, anche questi contrari all’articolo 3 della Convenzione, che vieta che un cittadino possa essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti.

 

Considerato tutto questo, paradossalmente a Ilaria Salis conviene restare nelle carceri ungheresi, piuttosto che conoscere l’inferno di quelle italiane. 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]