l'editoriale del direttore
Magistrati contro la libertà di stampa
I pm di Firenze lanciano una fatwa contro il Foglio, chiedono l’intervento del Csm e considerano i magistrati troppo sacri per essere criticati. Perché il bavaglio dei magistrati non scalda il cuore dei cronisti paladini della libertà
I post-it? Un’altra volta. Siamo certi che questa mattina, quando sfoglieremo i giornali, troveremo numerosi articoli in cui verrà espressa solidarietà a un piccolo giornale minacciato dal capo di una importante procura italiana che ha chiesto l’intervento nientemeno che del Consiglio superiore della magistratura per denunciare, si spera solo a parole, un eccesso nell’esercizio del diritto di critica. Siamo certi che questa mattina, quando sfoglieremo i giornali, la storia incredibile della procura di Firenze che, attraverso la voce del suo procuratore capo, ha chiesto al Csm una pratica a tutela per difendersi da un articolo del Foglio, venga denunciata con la stessa severità con cui gli stessi giornali denunciano ogni giorno il famigerato bavaglio che la politica vorrebbe piazzare alla libertà di stampa. Siamo certi che andrà così, siamo certi che i giornali di oggi saranno pieni di post-it per denunciare il tentativo, come si direbbe in modo serioso in questi casi, di “tappare la bocca alla stampa”, portato avanti da una procura che, come abbiamo provato a ricordare oggi, in questi anni è stata delegittimata non da un articolo di giornale ma a causa di ciò che ha fatto.
La storia forse la conoscete ma vale la pena ripercorrerla brevemente. Il 13 aprile, il nostro Ermes Antonucci ha notato che il Csm ha colto la palla al balzo per “accompagnare all’uscita” i pm fiorentini d’assalto. Nel caso specifico, abbiamo notato che il Csm non si è prodigato per garantire continuità alla stagione dei Luca Tescaroli (che per anni ha indagato senza successo su Berlusconi e Dell’Utri, accusandoli di essere i mandanti esterni delle stragi di Cosa nostra tra il 1993 e il 1994 e che da poche settimane da Firenze è finito a Prato), ha allontanato un aggiunto considerato vicino alla vecchia guardia attivista della procura (Gabriele Mazzotta) spostandolo alla Cassazione, ha nominato un nuovo capo della procura (Filippo Spiezia) ritenuto da sempre vicino alla corrente moderata di Magistratura indipendente e di fatto non si è prodigato per garantire continuità alla stagione di un pm come Luca Turco, prossimo alla pensione, che negli ultimi anni ha fatto parlare molto di sé per un certo accanimento giudiziario contro Matteo Renzi e contro parte della sua famiglia, genitori, sorella, cognato (la sua azione è stata condannata, oltre che dalla Cassazione per cinque volte, anche dalla Consulta, proprio in merito a un’indagine contro Renzi) e in definitiva il Csm, così abbiamo scritto, ha cercato di rimettere a posto una procura che negli ultimi anni si è distinta purtroppo spesso per aver promosso indagini altisonanti bocciate dalla realtà.
Il capo della procura di Firenze, il dottor Filippo Spiezia, due giorni fa ha chiesto al Csm una pratica a tutela, onde evitare che simili sconvenienti analisi possano ripetersi, e se non ci venisse da ridere mentre lo scriviamo sarebbe auspicabile trovare sui giornali di oggi anche una qualche presa di posizione dell’ordine dei giornalisti, molto pronto a scattare sull’attenti a favore della libertà di stampa quando la politica cerca di tutelare gli indagati ponendo limiti alla macchina dello sputtanamento del prossimo azionata dalle procure e poco attento a tutelare la libertà di stampa quando coloro che la vorrebbero limitare rispondono al profilo degli stessi magistrati. Lo sappiamo. Separare le carriere tra procuratori e giornalisti è più difficile che separare le carriere tra pubblici ministeri e giudici. Ma la reazione della procura di Firenze è lì a mostrare alcuni fatti interessanti che vanno anche al di là del fischiettare allegro da parte dei solitamente attivissimi difensori della libertà di stampa.
Il punto è molto più sottile e molto più preoccupante perché testimonia il fatto che alcuni magistrati non capiscono che fare indagini e chiedere l’arresto delle persone significa esercitare un potere e che esercitare un potere significa mettere nel conto che un magistrato che sbaglia e una procura che non fa nulla per evitare che quel magistrato sbagli a qualcuno dovranno rispondere. Il magistrato non ne risponderà certamente al Csm, perché il Consiglio superiore della magistratura il massimo che riesce a permettersi quando un magistrato viene considerato inaffidabile è spostarlo da una procura all’altra, ma immaginare che un magistrato possa considerarsi così al di sopra delle regole da denunciare un eccesso di critica nei suoi confronti quando un giornale si limita a mettere insieme alcuni fatti è la spia di un fenomeno interessante, che rispecchia un’idea diffusa: i magistrati sono delle figure sacre, come dei sacerdoti, e qualunque critica possa essere mossa contro di loro equivale a un oltraggio, a una lesa maestà, a un atto al quale si può rispondere solo lanciando una fatwa contro chi ha osato mostrare la presenza di un re nudo.
Sarebbe bello sfogliare questa mattina i giornali e ritagliare gli articoli di denuncia contro la logica del “bavaglio” promossa da un procuratore della Repubblica. Ma tutto questo non accadrà perché criticare i politici è a costo zero, mentre criticare i magistrati significa esporsi a molti rischi, significa esporsi a qualche fatwa e significa soprattutto tagliare i ponti con le proprie fonti privilegiate, senza le quali diventa difficile far funzionare gli ingranaggi del circo mediatico-giudiziario e azionare la macchina dello sputtanamento del prossimo.
I post-it? Un’altra volta.