controllare i controllori
Criticare gli eccessi dei pm di Firenze non vuol dire delegittimare. Parla Petrelli, presidente dei penalisti
Francesco Petrelli, presidente dell'Unione camere penali, commenta le accuse della procura di Firenze contro il Foglio: "Non si può rivendicare la centralità dell’imparzialità e al tempo stesso ritenere di esserne i titolari esclusivi, indiscussi e indiscutibili, pretendendo di restare immuni da censure"
Sebbene sia francamente difficile immaginare (e vedere all’opera) una “parte imparziale”, anche i pubblici ministeri (che nel processo sono una parte) evocano l’imparzialità come proprio fondamentale statuto, richiamando le raccomandazioni del Consiglio d’Europa o i pareri espressi dai Consigli consultivi europei dei pubblici ministeri (Ccpe), dichiarazioni e regolamenti di diversi organismi. I pubblici ministeri riconducono di solito questa imparzialità alla natura pubblica della loro indispensabile funzione, ricordando il nesso che tale funzione possiede con le radici costituzionali democratiche proprie del nostro Paese. E rivendicano tale qualità come legittimazione stessa dell’esercizio del loro potere. Ma in una moderna democrazia chiunque eserciti un potere deve al tempo stesso esporsi al controllo, non solo degli altri poteri, ma anche e soprattutto dell’opinione pubblica e dunque dell’informazione. E’ ciò che viene a mente pensando alle recenti cronache della procura fiorentina.
Non si può rivendicare la centralità di una dote ritenuta imprescindibile, quale quella dell’imparzialità, e al tempo stesso ritenere di esserne i titolari esclusivi, indiscussi ed indiscutibili, pretendendo di restare immuni da censure. Come se l’imparzialità non fosse una virtù da conquistare e da difendere con fatica, da sottoporre di continuo alla verifica dei consociati. E soprattutto come se l’imparzialità non vivesse in un mondo complesso fatto di errori e di successi, di relazioni e di conflitti, e come se, soprattutto, quella virtù non dovesse essere per l’appunto oggetto di un pubblico riconoscimento, ma potesse essere conferita ex cathedra a seguito di un concorso o, peggio, essere oggetto di un auto-investitura.
Se si tratta di una virtù davvero così preziosa per l’intera collettività nella quale vive ed opera il magistrato, si dovrebbe avere a cuore la possibilità di mettere sempre alla prova la capacità e l’imparzialità dell’azione di una procura. Se l’imparzialità è un bene imprescindibile per la giustizia del Paese, ne dovrebbe discendere l’ulteriore necessità di sottoporre l’operato di ogni procura a una critica serrata, anche la più aspra, perché la pubblica opinione ne conosca gli eventuali limiti assieme alle possibili doti. Proprio in quanto l’imparzialità non è un mana che discende automaticamente su ogni pubblico ministero, ma una qualità tutta da dimostrare, occorre che ci si adegui al giudizio dei pari.
Evidenziare come alcune modalità di indagine siano cadute più volte sotto la scure dei giudici di legittimità giustifica la richiesta di apertura di una pratica a tutela? Trasmoda dall’esercizio della critica il denunciare gli eccessi di questa o quella iniziativa giudiziaria? Insomma, se l’imparzialità di una procura è, come si dice, un bene di tutti, è bene che tutti possano farne oggetto di censura, senza che si gridi alla “inaccettabile pericolosa delegittimazione” dell’intera magistratura, lasciando invece che qualcuno controlli laicamente anche il controllore.
Francesco Petrelli
presidente
Unione Camere Penali Italiane
L'editoriale del direttore