crociata giudiziaria
Due assoluzioni non bastano: la procura di Milano sta conducendo un terzo processo su Eni-Nigeria
Nonostante l'accusa di corruzione internazionale contro Eni sia stata già demolita due volte, il pm milanese De Pasquale (ora sotto processo per aver nascosto prove favorevoli alla difesa) è ancora a caccia della tangente, per i giudici inesistente
La notizia è così assurda da non sembrare vera: la procura di Milano sta portando avanti, in gran silenzio, un terzo processo sulla presunta corruzione internazionale da oltre un miliardo di dollari che Eni avrebbe compiuto con Shell in Nigeria per sfruttare il giacimento petrolifero Opl 245. A quanto pare, non sono bastati due processi, entrambi terminati con l’assoluzione in via definitiva di tutti gli imputati: il primo, quello principale, in cui sono stati assolti ben quindici imputati, tra cui l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni; e il secondo processo, svoltosi in rito abbreviato, in cui sono stati assolti i due presunti mediatori della corruzione, Emeka Obi e Gianluca Di Nardo.
I due processi hanno demolito le accuse della procura milanese, in particolare dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, stabilendo che non ci fu nessuna corruzione da parte di Eni e Shell. In altre parole, quella che è stata presentata come la più grande tangente della storia non è mai esistita. Non solo: i pm De Pasquale e Spadaro si ritrovano ora sotto processo a Brescia con l’accusa di aver nascosto prove favorevoli alla difesa di Eni. Siccome, però, non c’è due senza tre, ora si scopre che la procura milanese sta conducendo un altro processo sulla stessa vicenda, stavolta nei confronti di Aliyu Abubakar, faccendiere nigeriano accusato di aver distribuito 500 milioni della mazzetta miliardaria che già due sentenze passate in giudicato hanno stabilito non essere mai esistita.
Il procedimento nei confronti di Abubakar era stato stralciato da quello principale per l’impossibilità di effettuare le dovute notifiche. Quando ciò è stato possibile, finalmente – un paio di anni fa – è stata incardinata l’udienza preliminare.
Dopo una serie di rinvii, la difesa di Abubakar, rappresentata dall’avvocato Roberto Rampioni, ha manifestato l’intenzione di chiedere il rito abbreviato, condizionato all’acquisizione di tutto il materiale processuale prodotto negli altri procedimenti. Il gup si è preso del tempo e ha fissato la prossima udienza al 9 ottobre.
Ciò che colpisce maggiormente è che a portare avanti l’accusa e a presenziare alle udienze è sempre lui, il pm Fabio De Pasquale, nonostante evidenti ragioni di opportunità dovrebbero indurlo a farsi da parte. De Pasquale, infatti, non solo ha condotto l’inchiesta poi crollata due volte in sede di giudizio, ma è ora sotto processo a Brescia per rifiuto d’atti d’ufficio con l’accusa di aver nascosto prove favorevoli alla difesa di Eni. Insomma, più che a un’iniziativa giudiziaria, sembra di essere di fronte a una crociata.
A segnalare l’anomala iniziativa di De Pasquale, verificata dal Foglio, è stato l’avvocato Pasquale Annicchiarico, legale dell’ex viceconsole onorario in Nigeria Gianfranco Falcioni, oggi parte civile nel processo contro De Pasquale e Spadaro, proprio durante l’ultima udienza del processo. In quell’occasione, come abbiamo raccontato su queste pagine, De Pasquale si è autorappresentato come un soldato, un magistrato che i processi non li istruisce, ma li combatte, senza ammettere dubbi, incertezze. Il problema è che in questo caso ci sono ben due sentenze definitive che smontano l’intero impianto accusatorio. Il tentativo di farlo resuscitare con addirittura un terzo processo fa a pugni con i princìpi basilari dello stato di diritto.
Il procuratore di Milano Marcello Viola è al corrente dell’ostinata attività di De Pasquale? Il Guardasigilli Carlo Nordio ritiene che sia tutto normale?