il verdetto
La condanna di Fini per Montecarlo e la maledizione della contessa
L'ex leader di An condannato a due anni e otto mesi per la vendita della casa a Montecarlo al termine di un processo durato sette anni, un'eternità. Pochissime le reazioni alla sentenza, segno dell'isolamento politico vissuto oggi da Fini. Il retroscena sulla "maledizione della gattara"
Abbassa il capo per un attimo, Gianfranco Fini, mentre ascolta la giudice del tribunale di Roma pronunciare la condanna nei suoi confronti a due anni e otto mesi per il caso della vendita dell’appartamento di Montecarlo. Un accenno di sconforto, a cui si unisce un senso di smarrimento: gran parte delle accuse mosse dai pubblici ministeri, che avevano chiesto per l’ex presidente della Camera una pena a otto anni, è stata bocciata dal collegio giudicante. L’unica colpa riconosciuta a Fini è quella di aver autorizzato la vendita dell’appartamento nel 2008 per circa 300 mila euro. “Ma questo lo sapevano tutti, in cosa consista il reato non mi è chiaro”, dice l’ex leader di Alleanza nazionale, che poi si apparta alcuni minuti con i suoi legali, gli avvocati Sarno e Grimaldi.
Si cerca di comprendere cosa sia avvenuto: “Ma insomma, per cosa sono stato condannato?”. Un consulto dal quale gli stessi avvocati escono perplessi. Mai come in questo caso vale il detto: saranno le motivazioni della sentenza a chiarire le ragioni della condanna. Per il momento si può solo ipotizzare che, per i giudici, Fini sapesse che ad acquisire l’immobile era una società off shore riconducibile a Giancarlo Tulliani, fratello della sua compagna, Elisabetta.
Sia Elisabetta sia Giancarlo sono stati condannati dai giudici per riciclaggio: il primo a sei anni, la seconda a cinque anni (stessa pena comminata al padre, Sergio Tulliani). Dietro di loro la figura (e i milioni) di Francesco Corallo, noto come il “re delle slot machine”, la cui posizione è stata dichiarata prescritta. La rivendita della casa nel 2015 fruttò ai Tulliani 1,36 milioni euro.
L’ex presidente Fini va via da piazzale Clodio comunque “più sereno di quello che si può pensare”. “Certo – aggiunge – sette anni per arrivare a una conclusione come questa…”. Tanti, infatti, sono passati dall’inizio del dibattimento di primo grado. Un’eternità indegna di un paese civile, che fa pensare a una probabile prescrizione dei reati nei prossimi gradi di giudizio. Le prime inchieste giornalistiche sulla vicenda dell’appartamento risalgono addirittura al 2010, quattordici anni fa, nel pieno dello scontro fra Berlusconi e Fini in seno al Popolo della libertà (“che fai, mi cacci?”). Lo scandalo di Montecarlo montò, segnando di fatto la fine della carriera politica dell’ex leader di An.
A confermare l’isolamento politico di Fini, un uomo che oggi sarebbe potuto diventare il padre nobile del melonismo di governo, ci pensano le poche, pochissime reazioni alla sentenza. Francesco Storace, che con le sue denunce contribuì all’apertura delle indagini nei confronti del suo ex mentore, ha scritto su X: “A me la sentenza di primo grado che condanna Fini non piace. In istruttoria era stato assolto per lo stesso reato. E mi dispiace per lui, sbaglia chi esulta per un’ingiustizia”. Un post condiviso dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Storace si riferisce all’archiviazione che nel 2010 chiuse la prima indagine sulla vendita della casa di Montecarlo, su richiesta della stessa procura di Roma.
L’altro commento alla sentenza è giunto dal vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi: “Sono amico di Gianfranco Fini e penso che, come tutti noi, abbia commesso errori politici. Ma credo che nelle fasi successive del processo, che oggi lo ha visto condannato in primo grado, sarà assolto”.
Ma sono lontani i tempi delle polemiche fortissime e delle accuse di aver tradito non solo Berlusconi ma pure la Destra post missina. Anche nella vicenda di Montecarlo, Fini venne accusato dai suoi di tradimento: l’appartamento di boulevard Princesse Charlotte 14, poi venduto, infatti era stato lasciato in eredità ad An dalla contessa Anna Maria Colleoni come contributo per la “buona battaglia” del partito.
Leggenda, ricordata ieri da alcuni avvocati, vuole che Colleoni, proprietaria di numerosi gatti, avesse indicato come condizione della donazione dell’appartamento la cura dei suoi cari animali, cosa che poi non avvenne da parte di Fini. Da qui ciò che viene definita, poco elegantemente, “la maledizione della gattara”. Che per il momento, in attesa dell’appello, ha colpito.