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L'editoriale del direttore

Resistere contro i pm senza prove, come nel caso Toti

Claudio Cerasa

Quattro anni di indagini, venti giorni di arresti, zero pistole fumanti. Il caso Toti illumina le derive di un circo mediatico giudiziario  che vive sui teoremi e ricatta la politica (anche con i falsi “illeciti”). Resistere, resistere, resistere 

Pistola fumante o liquidator giocattolo? La procura di Genova, ieri mattina, ci ha fatto sapere che, al contrario di quanto precedentemente comunicato, che sbadatoni, nessun soggetto coinvolto nell’inchiesta che ha portato all’arresto del governatore Giovanni Toti ha mai detto che i soldi ricevuti dal governatore ligure sono frutto di “finanziamenti illeciti”. A questa conclusione si poteva arrivare semplicemente leggendo le carte dell’inchiesta, leggendo i capi di imputazione a Giovanni Toti, nessuno dei quali contesta al governatore di aver ricevuto finanziamenti non leciti, ma la procura, per giorni, ha offerto ai cronisti una verità alternativa commettendo un piccolo errore. Nel verbale dell’interrogatorio del figlio di Aldo Spinelli, Roberto, interrogatorio avvenuto lo scorso 13 maggio, risultava presente l’affermazione ora corretta. Roberto Spinelli, stando al verbale, aveva detto, di fronte al gip, che Toti aveva ricevuto “finanziamenti illeciti”. Dopo appena quattordici giorni, dicasi quattordici, la procura fa sapere che la trascrizione era sbagliata. Spinelli jr ha parlato di finanziamenti leciti, non illeciti. Un piccolo errore, che volete che sia?
 

Il tribunale del popolo, che ha già condannato Toti ritenendolo colpevole fino a prova contraria, non cambierà idea rispetto a ciò che avrebbe commesso il governatore ligure, che non essendo un magistrato non ha diritto ad aver riconosciuta alcuna forma di presunzione di innocenza (i magistrati sospettati di aver commesso qualche illecito ogni tanto quando va bene vengono trasferiti, i politici, per non saper né leggere né scrivere, vengono regolarmente incarcerati). E ci sentiamo di dubitare del fatto che i quotidiani che nei giorni passati hanno dedicato ampio spazio al verbale che “incastra” Toti dedicheranno altrettanto spazio alla correzione del verbale che illumina la superficialità di una procura. Ma arrivati a questo punto  è utile provare a fare una piccola sintesi di una storia i cui contorni assumono ogni giorno dimensioni sempre più surreali.


Ricapitoliamo. Un governatore di una importante regione è stato arrestato di notte, in albergo, cinque mesi dopo una richiesta di arresto, per ragioni ancora del tutto incomprensibili, a meno che non si voglia considerare comprensibile l’idea che un governatore, accusato di corruzione, possa essere arrestato a causa di una campagna elettorale che avrebbe potuto in linea teorica spingere il governatore stesso a chiedere finanziamenti leciti per un partito, il proprio, non impegnato nella suddetta campagna elettorale.
 

Allo stesso governatore – intercettato grazie a un simpatico escamotage utilizzato dai magistrati più creativi,  Toti è stato intercettato perché parlava al telefono, in una conversazione senza ciccia, con una persona indagata per voto di scambio, e grazie a questo escamotage è stato possibile autorizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali ai danni di Toti, altrimenti non utilizzabili per reati come il finanziamento illecito ai partiti – è stato suggerito da più parti che per tornare in libertà è necessario assecondare le richieste della procura, dimettendosi per potersi difendere senza arrecare danni all’istituzione che rappresenta. Allo stesso governatore, la procura contesta una serie di finanziamenti dal valore di 60 mila euro (in tre anni) ricevuti da Toti in modo regolare, trasparente, non illecito, da alcuni imprenditori. Contesta quei finanziamenti perché, sostiene la procura, Toti avrebbe poi compiuto degli atti amministrativi che avrebbero favorito anche gli interessi dei soggetti che lo hanno finanziato. Tra i favori che sarebbero stati contestati a Toti, per non farci mancare nulla, ce ne sono anche alcuni che Toti non ha fatto. Per esempio, l’assegnazione di alcuni progetti di investimento turistico in alcune spiagge pubbliche a beneficio del figlio di Spinelli, non tutti andati a buon fine. Problema di carattere generale: esiste un modo oggettivo per considerare illecito un pagamento trasparente a un partito?
 

Secondo problema: se un finanziatore del tuo partito trae un beneficio da un atto, da un permesso, da una concessione dovuta, come si può considerare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che quell’atto sia esplicitamente un favore fatto esclusivamente per favorire il politico che lo ha finanziato? Impossibile. Per provare a dimostrare che il proprio teorema è fondato su basi oggettive e non discrezionali, i magistrati che hanno seguito il caso Toti a un certo punto hanno fatto sapere ai giornali che il governatore ligure ha fatto transitare alcuni soldi ricevuti su “un conto personale”. La notizia del “conto personale” è stata a lungo valorizzata nella titolazione degli articoli dedicati a Toti ma negli stessi articoli si precisava poi che “il conto personale” veniva “abitualmente utilizzato come conto politico”, non per uso personale come invece lasciavano intendere i titoli maliziosi. Dopo quattro anni di indagini, seicentocinquanta pagine di ordinanza di custodia cautelare, quasi tre settimane di arresti domiciliari e nove ore di interrogatorio, ieri Repubblica, infine, ci informa che la procura di Genova, ora, è “a caccia della tangente a Toti”, da parte di Aldo Spinelli, segno che tutto ciò che finora è stato spacciato dalla procura e dai giornalisti al seguito come pistola fumante in verità altro non era che una pistolina ad acqua, un liquidator.
 

Occuparsi del destino di Giovanni Toti non è più un tema che riguarda una singola figura politica che può ispirare più o meno simpatia. Occuparsi del destino di Giovanni Toti oggi è diventato qualcosa di diverso. Significa scegliere  (o no) di considerare i teoremi come delle prove schiaccianti solo perché i teoremi sono stati sposati dal processo mediatico. Significa scegliere (o no) di considerare le indagini che hanno al proprio centro il processo al funzionamento della politica come delle indagini solide solo perché l’unica forma di politica compatibile con lo spirito del tempo è quella che non costa perché la politica che attira interessi è sempre una politica che nasconde un marcio da denunciare. Significa scegliere (o no) di considerare accettabile il ricatto messo in campo dal circo mediatico giudiziario contro un governatore eletto dal popolo: se sei un politico e sei indagato o arrestato, ti devi dimettere, a prescindere dalla presenza o no di una pistola fumante.
 

Chi ha a cuore lo stato di diritto, chi ha a cuore la lotta contro il processo mediatico, chi ha a  cuore il principio del condannare oltre ogni ragionevole dubbio, chi ha a cuore l’idea che una giustizia sana debba vivere più nelle aule giudiziarie che nei divanetti dei talk-show, oggi non può che citare con rispetto l’ex pubblico ministero di Mani pulite Francesco Saverio Borrelli: resistere, resistere, resistere. Borrelli lo suggerì ai suoi colleghi per resistere alla presunta azione demolitrice della classe politica. A Toti andrebbe suggerito, per resistere all’azione del circo mediatico giudiziario che prova a interferire nella vita democratica di un paese spacciando i liquidator per pistole fumanti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.