la riforma della giustizia
La giusta lotta contro i populismi giudiziari
Carriere separate, nuovo Csm. È ora di un patto trasversale per difendere la riforma Nordio dal partito delle procure
È ora di essere tosti. E forse anche un po’ stronzi. Diranno che è un attacco alla Costituzione, un oltraggio alla magistratura, un atto di arroganza, una mossa propagandistica, una scelta eversiva, un ritorno al populismo. Ma la verità è che chiunque abbia a cuore i valori minimi dello stato di diritto, la lotta contro il populismo, il rispetto per la Costituzione, la tutela delle garanzie, la depoliticizzazione della magistratura, l’indebolimento delle correnti, la terzietà della funzione giudicante, di fronte al disegno di legge approvato in Consiglio dei ministri non può fare altro che esultare, gioire, rallegrarsi e augurarsi, con forza, che la riforma costituzionale che comprende la separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice e il sorteggio del Csm possa trovare in Parlamento i numeri necessari per approvare i testi senza che sia necessario andare al referendum. Separare le carriere e sorteggiare i componenti del Csm è un atto antipopulista perché non c’è nulla di più populista in Italia che assecondare la tendenza del nostro paese ad avere una magistratura irresponsabile, dotata di pieni poteri, dove il ruolo di pubblico ministero si confonde con quello di giudice (e viceversa), e dove il ruolo terzo che deve avere un giudice viene spesso annacquato all’interno di un sistema democratico dove la legge che conta è quella dettata dalla repubblica delle procure.
Diceva nel 1989 Giovanni Falcone, non esattamente un populista, che “disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale, paradossalmente, a garantire meno la stessa magistratura, costituzionalmente garantita sia per gli organi requirenti che per gli organi giudicanti”. L’articolo 111 della Costituzione, in effetti, dice che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” e non ci vuole molto a capire che avere una doppia carriera, con un doppio Csm, per i pubblici ministeri e per i giudici significa fare un passo in avanti non per tradire lo spirito della Costituzione ma per onorarlo fino in fondo. Scommettere finalmente sulla terzietà (separazione delle carriere), garantire il più possibile l’imputato (con più divisione tra i ruoli), muovere un passo per rendere meno centrali nel Csm le correnti (attraverso il sorteggio) è un insieme di princìpi sacrosanti che sono gli stessi in fondo che mise nero su bianco il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno in cui accettò un secondo mandato come capo dello stato.
Era il due febbraio del 2022 e, di fronte alle Camere, Mattarella disse che all’Italia occorre “un profondo processo riformatore che deve interessare anche il versante della giustizia” (profondo processo riformatore: eccolo). Disse che, “nella salvaguardia dei princìpi, irrinunziabili, di autonomia e di indipendenza della magistratura – uno dei cardini della nostra Costituzione – l’ordinamento giudiziario e il sistema di governo autonomo della Magistratura devono corrispondere alle pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini” (pressanti esigenze di credibilità: eccoci). Disse che il Consiglio superiore della magistratura, che Mattarella presiede, avrebbe dovuto fare di tutto per “svolgere appieno la funzione che gli è propria, valorizzando le indiscusse alte professionalità su cui la Magistratura può contare, superando logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono restare estranee all’ordine giudiziario” (superare le logiche di appartenenza: eccoci). Disse, ancora, che “i cittadini “neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone” (meno politica in magistratura, più terzietà nel sistema giudiziario: eccoci). E, infine, Mattarella disse di auspicare un percorso riformatore capace di “recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei” (in Francia, in Germania, in Portogallo esistono delle forme di separazione dei poteri tra funzione giudicante e funzione requirente: standard europei, eccoci).
La separazione delle carriere, come il sorteggio del Csm, non è solo una riforma di buon senso ma non è neppure una riforma di destra, nonostante negli ultimi anni sia stata la destra ad appropriarsi di questa bandiera, e un paese desideroso di non sputare sui valori non negoziabili di uno stato di diritto dovrebbe oggi formulare due auspici. Il primo auspicio riguarda il vero rischio che vi è dietro a questa riforma: non farla. La storia, purtroppo, ci insegna che buona parte dei governi che hanno cercato di sfidare la repubblica delle procure, provando a introdurre dei contrappesi, provando a inserire dei nuovi punti di equilibrio, provando semplicemente a tutelare ciò che prescrive la Costituzione all’articolo 27 (l’imputato non sia considerato colpevole sino alla condanna definitiva) e all’articolo 111 (ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità), ha fatto una pessima fine. Chiedere a Matteo Renzi cosa gli è successo quando ha provato ad abbassare l’età del pensionamento dei magistrati. Chiedere ai parenti di Silvio Berlusconi cosa è successo all’ex presidente del Consiglio ogni volta che ha provato a mettere mano agli ingranaggi della giustizia. Chiedere a Clemente Mastella cosa è successo a sua moglie quando da ministro della Giustizia ha provato a portare in Parlamento una riforma delle intercettazioni. Chiedere alla famiglia di Ciriaco De Mita cosa successe quando nel 1993 si provò a discutere di riformare la giustizia via Bicamerale e quando, fatalità, in quelle settimane venne arrestato il fratello dell’allora presidente della commissione bicamerale, Michele De Mita, prosciolto anni dopo da tutte le accuse. Tema: riuscirà Meloni a non farsi impressionare se qualcuno del suo giro dovesse ricevere attenzioni speciali in seguito a una riforma che prova a depotenziare i capicorrente della magistratura? Il secondo auspicio, invece, riguarda i numeri.
Il disegno di legge presentato e approvato oggi in Consiglio dei ministri è una riforma costituzionale. Le riforme costituzionali, per essere approvate senza che sia necessario passare per il referendum, hanno bisogno dei due terzi del Parlamento. Se si sommano i parlamentari e i senatori della maggioranza con quelli di Azione, Italia viva e Più Europa, favorevoli alla separazione delle carriere, il pallottoliere indica questi numeri: 261 alla Camera (dove la maggioranza dei due terzi è a quota 267) e 128 al Senato (dove la maggioranza dei due terzi è a quota 136). Per superare la quota dei due terzi, un modo ci sarebbe: far sì che tutti i parlamentari e i senatori del Pd che hanno sottoscritto nel 2019 la mozione congressuale di Maurizio Martina siano coerenti con le proprie idee. E cosa diceva quella mozione? Forse lo ricorderete: “Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. E’ ora di essere tosti, sulla giustizia, e se serve, detto con rispetto, anche un po’ stronzi. Contro i veri populisti, contro i veri nemici della Costituzione, contro tutti coloro che sognano ancora di scommettere sulla via giudiziaria come scorciatoia perfetta per combattere i politici che non si amano.