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l'analisi

Perseguire il giusto processo non è eversione ma significa rispettare la Costituzione

Francesco Petrelli

La separazione delle carriere approvata dal governo attua un fondamentale principio costituzionale: quello del "giudice terzo"

Al fine di comprendere meglio il significato della riforma costituzionale della separazione delle carriere, al di là di inutili e facili slogan, sembra utile ricordare alcuni fondamentali passaggi che hanno segnato la storia del nostro processo penale: dal varo del nuovo codice “Vassalli” nel 1989, alla riforma  costituzionale del 1999, alla proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare depositata in Parlamento nel 2017 dall’Unione delle Camere penali, forte della raccolta di oltre 71.000 firme. La riforma del 1999, con la quale si è introdotta nell’art. 111 della nostra Carta la figura del “giudice terzo”, ha contribuito a chiudere positivamente una stagione, quella degli anni ’90, davvero drammatica per il nostro Paese. Una stagione segnata dalla vicenda di Tangentopoli e dalla traumatica fine della prima repubblica.  Una storia di durissimi conflitti fra magistratura e politica che ha certamente stravolto i già fragili equilibri fra la magistratura ed i poteri dello Stato.

Con quella riforma, intervenuta dieci anni dopo l’introduzione del processo accusatorio, sono stati finalmente inseriti in Costituzione i principi del “giusto processo”. Pochi oggi riescono a negare che quella riforma abbia anche costituito un fondamentale potenziamento delle garanzie ed una evidente modernizzazione del processo penale. Quel nuovo testo dell’art. 111 Cost., alla cui riforma l’Unione delle Camere penali ha fornito un fondamentale contributo, ha segnato un cambio di paradigma che appare oggi davvero irrinunciabile. Perché con quella riforma si sono messi in sicurezza i fondamenti del nostro modello accusatorio, ed in particolare quello della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo. Un principio intriso di valori democratici della cui importanza non sempre si è consapevoli. Così come non si è compreso che quelle garanzie del Giusto processo, intanto possono trovare concreta attuazione, se quel processo si svolge davanti a un giudice terzo, distinto cioè da entrambe le parti.

 

La terzietà del giudice, imposta da quell’art. 111 della nostra Costituzione, intesa come separatezza ordinamentale fra chi accusa e chi giudica, fra controllore e controllato, non è mai stata realizzata, condividendo ancora i magistrati, requirenti e giudicanti, un'unica ed indistinta commistione di interessi in sede di disciplina, di valutazione professionale e di avanzamento delle carriere. Ogni modello processuale ha bisogno dei suoi interpreti ed interpreti del modello accusatorio non possono certo essere quei giudici e quei pubblici ministeri dalle carriere unificate che plasmano le figure ibride di quasi-giudici e di quasi-pubblici ministeri.  Quel nuovo modello non ha mai trovato una compiuta attuazione proprio a causa della mancata realizzazione di quella figura di giudice terzo.

Non si tratta, dunque, come alcuni vogliono far credere, di una riforma che “stravolge” la nostra costituzione, ma di una riforma che, al contrario, finalmente attua un fondamentale principio della nostra Costituzione. Anche in questo caso, come nel 1999, si tratta di realizzare un rafforzamento delle garanzie di tutti i cittadini ed una evidente modernizzazione della cultura del nostro processo penale.