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L'indagine su Toti sembra più da stato etico che da stato di diritto

Ermes Antonucci

Il gip di Genova respinge la scarcerazione di Signorini, ex presidente dell'autorità portuale, perché “non ha mostrato consapevolezza del disvalore della sua condotta”. Come se il carcere dovesse servire a questo. Una concezione degna del regime degli ayatollah iraniani

Quella di Genova che coinvolge il governatore ligure Giovanni Toti sembra ormai un’indagine improntata su un approccio più da stato etico che da stato di diritto. Lo confermano le motivazioni con cui la gip Paola Faggioni ha respinto l’istanza di attenuazione della misura cautelare (dal carcere ai domiciliari) per Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’autorità portuale di Genova. Colui che, per i pm, sarebbe stato corrotto da Aldo Spinelli attraverso regali, denaro e viaggi. Secondo la gip, Signorini deve restare nel carcere di Marassi, dove è detenuto da quasi un mese, non solo perché sussistono ancora i rischi di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio, ma soprattutto perché non avrebbe compreso la gravità degli addebiti che gli vengono mossi. In particolare, nell’interrogatorio “non ha mostrato consapevolezza del disvalore della sua condotta”. Come se il carcere dovesse servire a indurre l’indagato a prendere consapevolezza dei propri errori. Una concezione degna del regime degli ayatollah iraniani.

 

La decisione della gip Faggioni di negare il passaggio di Signorini (difeso dall’avvocato Enrico Scopesi) dal carcere ai domiciliari appare singolare innanzitutto sul piano giuridico. Per la magistrata, sarebbe ancora sussistente il rischio di reiterazione del reato da parte di Signorini, che però non riveste più la carica di presidente dell’autorità portuale di Genova dall’agosto 2023 ed è anche stato sospeso dall’incarico di amministratore delegato di Iren. Come potrebbe reiterare il reato di corruzione non essendo più nella posizione di condizionare appalti o affidare incarichi di favore? Per la gip, con l’attenuazione della misura cautelare si rischierebbe anche l’inquinamento probatorio, eppure l’indagine è durata ben quattro anni: in tutto questo tempo i pm hanno avuto la possibilità di raccogliere tutti gli elementi che cercavano. Inoltre hanno avuto un altro mese per scandagliare tutti i documenti relativi all’attività di Signorini, nel frattempo in carcere. E comunque non è dato comprendere come, agli arresti domiciliari, e non in libertà, Signorini potrebbe inquinare le prove a suo carico. 

 

Alla debolezza delle argomentazioni giuridiche si accompagna, come detto, lo slancio moralistico della giudice Faggioni. Per quest’ultima, Signorini non avrebbe mostrato “consapevolezza del disvalore della sua condotta” perché durante l’interrogatorio di alcuni giorni fa ha negato di essere stato corrotto da Aldo Spinelli in cambio di agevolazioni sulle pratiche e sulle concessioni del porto, limitandosi a definire “inopportuni” i suoi rapporti con l’imprenditore 84enne. “Col senno di poi ho capito che non era un comportamento adeguato, ma tutto il mio operato è stato fatto nell’interesse del porto e degli operatori portuali”, ha detto Signorini durante l'interrogatorio. Ai pubblici ministeri Luca Monteverde e Federico Manotti aveva spiegato, per esempio, di avere ricevuto telefonate da Toti per accelerare la pratica del Terminal Rinfuse sostenendo che era però una cosa “normale visto che la pratica era del 2019”. Insomma, per la gip sembra che Signorini non si sia “pentito” a sufficienza. Ecco così servito un altro po’ di carcere preventivo, che in teoria nel nostro ordinamento dovrebbe rappresentare l’extrema ratio. Roba da stato etico.

 

Il solido sostegno trovato dai pm genovesi nella gip Faggioni, che in precedenza ha detto no anche alla richiesta di tornare in libertà avanzata da Aldo Spinelli (attualmente agli arresti domiciliari), spiega molto della strategia difensiva seguita fino a ora dal governatore Giovanni Toti, in particolare la decisione di non chiedere la revoca degli arresti domiciliari a suo carico. 
Del resto, la misura cautelare nei confronti del governatore ligure si fonda su una gigantesca congettura da parte dei pm e anche della gip che ha accolto l’impianto accusatorio.

 

Toti si trova ai domiciliari perché, secondo i magistrati, potrebbe reiterare il reato, cioè chiedere finanziamenti illeciti a imprenditori in vista delle elezioni europee. Questo rischio si basa però su una mera ipotesi, legata a ciò che sarebbe avvenuto in occasione di elezioni passate, non su un pericolo concreto. In altre parole, non c’è nessun indizio né intercettazione dalla quale emerge il tentativo di Toti di ricevere finanziamenti illeciti per la sua fondazione o il suo comitato in vista delle elezioni europee. Alla faccia del codice di procedura penale, secondo cui per emettere una misura cautelare occorre che il pericolo di reiterazione del reato sia “attuale e concreto”. 

 

Se queste sono le premesse, avranno giustamente pensato i legali di Toti, forse è meglio aspettare di superare l’appuntamento elettorale prima di avanzare richieste alla magistratura. Una magistratura che, a oggi, ha per le mani soltanto  un grande teorema, senza prove né tantomeno pistole fumanti. L’accusa di corruzione, infatti, si scontra con una realtà fatta di finanziamenti –  effettuati tramite regolari bonifici –  da parte di Spinelli in favore del comitato  di Toti, per un totale di 74 mila euro, e una serie di interventi del governatore ligure che risultano del tutto leciti. Ben poca cosa per costruirci su un’inchiesta per corruzione e anche un circo mediatico sull’ennesima “Tangentopoli”.    

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]