il caso

L'inscalfibile spirito inquisitorio dei pm milanesi sul caso Eni-Nigeria

Ermes Antonucci

Il pm Sergio Spadaro è stato ascoltato a Brescia, dove è imputato insieme al collega De Pasquale per aver nascosto prove a favore dei vertici Eni (poi assolti). Il magistrato si è difeso affermanco he le prove erano addirittura "a favore dell'accusa", lasciando i giudici sbigottiti

Sbigottimento. E’ questa la parola che meglio descrive la reazione avuta giovedì dai giudici e dai procuratori di Brescia di fronte alle dichiarazioni fatte in tribunale dal pm Sergio Spadaro, imputato insieme al collega Fabio De Pasquale con l’accusa di aver nascosto prove a favore dei vertici Eni (poi tutti assolti) nel processo sulla presunta corruzione in Nigeria. Le domande al centro del processo bresciano sono molto semplici: perché De Pasquale e Spadaro non decisero di depositare alle parti una videoregistrazione in cui Vincenzo Armanna, il supertestimone valorizzato dall’accusa, minacciava di far cadere – testualmente – “una valanga di merda” e “avvisi di garanzia” su Eni (proprio pochi giorni prima di presentarsi alla procura di Milano)? Perché, inoltre, i due decisero di non depositare neanche le prove che il collega pm Paolo Storari nel gennaio 2021 portò alla loro attenzione, in cui emergeva l’inattendibilità di Armanna?

 

Ascoltato a Brescia lo scorso aprile, De Pasquale è stato tranchant: quello di Storari era “ciarpame” inutilizzabile, “un minestrone” che conteneva “elementi non pertinenti”. Giovedì Spadaro (ora in servizio alla procura europea) si è spinto persino oltre, affermando addirittura che le prove che decisero di non depositare “erano a sostegno dell’accusa”. 

 

La dichiarazione ha suscitato sbigottimento, e anche qualche sorriso incredulo, fra giudici e pm. Le prove di cui si sta parlando consistono, infatti, non solo nel video in cui Armanna annuncia la “valanga di merda” contro Eni, ma anche messaggi in cui Armanna concorda il versamento di 50 mila dollari a due testimoni, chat falsificate e messaggi in cui Armanna indottrina un testimone in vista del processo. Come si fa a considerare questi elementi “a sostegno dell’accusa”, anziché a favore delle difese? Sorprendenti, se così si possono definire, le spiegazioni di Spadaro. Nella lettura della procura milanese, ha detto, le chat in cui emerge che Armanna aveva rapporti economici con alcuni testimoni erano elementi a favore dell’accusa “perché dimostravano che Armanna aveva pagato per avere un rapporto della polizia economica finanziaria della Nigeria in cui c’erano i nomi dei pubblici ufficiali che avevano preso le tangenti”. “Questa prova non sembrava una cosa che potesse interessare il tribunale e i difensori”, ha aggiunto.

 

Persino il video in cui Armanna minaccia la “valanga di merda” contro Eni era interpretabile a favore della tesi dell’accusa, perché “in quel video sembrava che Armanna stesse facendo affari proprio con Eni, perché Amara all’epoca era un avvocato che lavorava per Eni”. Era una cosa “che per noi non aveva alcuna rilevanza”, ha aggiunto.

 

Il presidente del collegio giudicante, Roberto Spanò, e anche i procuratori bresciani hanno provato a far presente a Spadaro una “piccola” questione: “Una cosa che per voi non è decisiva può esserlo per la difesa. Non vi siete posti questo problema?”. Interpellato sul punto più volte, Spadaro ha però sempre risposto che, nell’ottica della procura milanese, il video su Armanna, così come gli elementi portati da Storari, non avevano rilevanza. E, se l’avevano, questa andava a sostegno dell’accusa. 

 

Giovedì è stato ascoltato in aula come testimone anche Francesco Greco, all’epoca dei fatti capo della procura di Milano. Tanti i “non ricordo” dell’ex procuratore, soprattutto sulle scelte e le tempistiche che caratterizzarono l’altro episodio discutibile di tutta la vicenda: il tentativo che De Pasquale e Spadaro fecero a ridosso della sentenza Eni per far ascoltare in aula Amara su presunte interferenze della difesa di Eni nei confronti del presidente del collegio giudicante, Marco Tremolada.

 

Contestualmente, Greco e il procuratore aggiunto Laura Pedio trasmisero le dichiarazioni di Amara su Tremolada ai colleghi di Brescia (competenti sui magistrati milanesi), che aprirono un’inchiesta, poi archiviata. A vista dei pm bresciani (e non solo) un tentativo per spingere all’astensione Tremolada, ritenuto troppo accondiscendente verso i difensori degli imputati. Accusa respinta da Greco, che però non è riuscito a spiegare le singolari modalità con cui queste attività vennero portate avanti.

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]