L'editoriale dell'Elefantino
In Liguria c'è un golpe giudiziario
Il sequestro di Giovanni Toti a opera della procura maschera un ricatto politico: dimettiti e sarai liberato. Una vicenda sconcertante senza eguali in occidente. E’ ora di lanciare un allarme democratico
Da due mesi il presidente della giunta ligure, Giovanni Toti, è detenuto in casa sua. Sequestrato ad Ameglia. Un’indagine durata quattro anni, con largo uso di intercettazioni dirette e ambientali, non ha trovato per adesso prove decisive di corruzione, solo pettegolezzi di incontri su una barca, insinuazioni sui finanziamenti ai comitati elettorali e sul famoso voto di scambio, illazioni su amicizie e frequentazioni di imprenditori privati, generici sospetti su licenze a uso commerciale. Il malloppo estortivo o corruttivo non c’è. Il documento o la prova testimoniale definitivi non si intravedono né punto né poco. Può darsi che in un eventuale futuro dibattimento la situazione si rovesci e venga fuori qualcosa di sostanzioso. Ma per il momento non è così, nonostante il circo mediatico-giudiziario suoni la grancassa della tangentopoli ligure, con numeri clowneschi sempre meno divertenti. Sono innumerevoli e tristemente notori gli episodi di pubblici amministratori travolti da indagini che poi si sono rivelate nulle. Il beneficio del dubbio è impedito a un’opinione pubblica frastornata da continui richiami giudiziari a come dovrebbe comportarsi un governatore di regione, a che cosa dovrebbe o non dovrebbe fare in relazione alle sue responsabilità decisionali sul territorio e sugli interessi in concorrenza, a inesistenti pericoli di fuga, di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove. L’accusato ha risposto alle domande degli inquirenti, ha scritto una memoria difensiva chiara, contestabile ma civile e argomentata. Un ex presidente della Corte costituzionale, Sabino Cassese, ha chiesto che siano bilanciate le esigenze cautelari con i doveri di rispetto dell’autonomia operativa di una carica elettiva cruciale per il governo di una grande regione italiana. Eppure Toti resta assegnato a residenza coatta, le famose esigenze cautelari sono usate verosimilmente come una specie di ricatto o almeno di pesante condizionamento personale e politico, non c’è istanza di ricorso che accetti le ragioni della difesa, si andrà alla Cassazione che deciderà dopo l’estate: dimettiti, e sarai liberato, ecco il messaggio di giustizia a convalida del pieno e incontrollato dominio di una procura e di un sistema giudiziario su una città e su una regione e su un intero ceto politico e imprenditoriale in attesa di un eventuale rinvio a giudizio.
La situazione è sconcertante. Riguarda un politico di centrodestra, ma potrebbe riguardare un amministratore di centrosinistra esattamente alla stessa stregua. Non esistono circostanze assimilabili a questa in alcun sistema giudiziario europeo o americano. Da sinistra, anche in ragione di esperienze precedenti riguardanti amministratori di quest’area politica, dovrebbe arrivare un allarme democratico e garantista che non si vede. Sarebbe un atto non solo dimostrativo e di testimonianza, sarebbe un atto politico significativo di restituzione del paese e dei suoi meccanismi di funzionamento a una piena divisione dei poteri. Nessuno dice che non si può indagare Toti o chiunque altro. Nessuno nega il diritto a una procura di chiedere un giusto processo per accuse suffragate da eventuali indizi concordanti o prove. Ma la libertà personale di un amministratore di regione, dopo ben due mesi di consegna ai domiciliari, è un altro paio di maniche.
Il Parlamento dovrebbe attivarsi e procedere a un attivo sindacato di controllo su una questione politica e amministrativa dirimente. Ragionevole che un’indagine abbia esigenze cautelari, irragionevole che queste vengano protratte indefinitamente e giustificate con argomentazioni più politiche che giudiziarie in senso stretto. La resistenza di Toti a dimettersi è pienamente giustificata. Forzare un diverso esito è ingiustificato. A parte l’allarme democratico e garantista, esistono le ispezioni del ministero di Giustizia, non è possibile che i sostituti di un distretto si arroghino il potere di limitare la libertà personale di un indagato che tra l’altro guida una regione e ha delle responsabilità decisionali.
L'editoriale del direttore