l'intervista
"I magistrati vogliono far dimettere Toti, fa bene a resistere". Parla Fiandaca
“E’ irrealistico pensare che Toti, dopo quello che è successo, possa reiterare il reato. Questo rafforza il sospetto che i magistrati vogliano farlo dimettere e fare moralizzazione pubblica", dice il giurista. Ma il governatore ora vacilla
“E’ irrealistico pensare che Toti, dopo quello che è successo, possa reiterare il reato. Questo rafforza il sospetto che i magistrati vogliano farlo dimettere e fare moralizzazione pubblica”. Lo dice al Foglio il professor Giovanni Fiandaca. “Se Toti è convinto di aver agito lecitamente, farebbe bene a non dimettersi. In nome dei princìpi di non colpevolezza e dell’autonomia dell’agire politico”. Eppure ieri qualche accenno di cedimento del governatore si è cominciato ad avvertire.
“Non conosco in dettaglio le carte dell’indagine”, premette Fiandaca, professore emerito di Diritto penale all’Università di Palermo. Il professore tuttavia ha potuto leggere, come tutti, le motivazioni adottate giovedì dal Riesame per bocciare la richiesta di revoca degli arresti domiciliari nei confronti di Toti, arrestato il 7 maggio con l’accusa di corruzione. Il professore rilegge alcuni passaggi ad alta voce. Non si parla solo di “rischio di reiterazione del reato”, ma anche di “gravi indizi” che non riguardano “un illecito di natura veniale ove rapportate alle pubbliche funzioni di natura elettiva dal medesimo ricoperte, ma integrano un vulnus tra i più gravi che possano essere inferti al buon andamento dell’azione amministrativa, allo stesso rispetto della volontà popolare e ai diritti dei terzi”. In pratica, continua a leggere Fiandaca dal provvedimento del Riesame, “è stato necessario per l’indagato farsi spiegare dagli inquirenti che è vietato scambiare la promessa o l’accettazione di utilità di qualsiasi tipo con favori elargiti nell’esercizio della propria funzione pubblica”. Toti potrebbe reiterare il reato “inducendo taluno a dargli o promettergli nuove utilità per finanziare il proprio movimento politico, adoperandosi per favorire un proprio grande elettore che partecipi a una gara ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione di un appalto per opere pubbliche e così via…”.
Più che una decisione del tribunale del Riesame, dice Fiandaca, sembra di leggere “un temino scolastico, in cui si spiega qual è la gravità di un reato contro la Pubblica amministrazione commesso da un funzionario pubblico, con considerazioni alquanto generiche”. L’attenzione del professore si concentra comunque sulle esigenze cautelari che sarebbero alla base dei domiciliari per Toti. “Potrebbero esistere in linea teorica esigenze probatorie: Toti, tornando a esercitare le sue funzioni in maniera libera, potrebbe inquinare le prove. Ma dopo quattro anni di indagine e dopo tutti questi accertamenti, non mi pare che lui possa concretamente occultare elementi probatori”, afferma Fiandaca.
C’è poi la questione del rischio di reiterazione del reato. “Mi pare poco plausibile che ci possa essere un rischio tale”, dice Fiandaca. “E’ irrealistico pensare che Toti, dopo quello che è successo, non abbia compreso l’esigenza di avere maggiore attenzione sul modo di comportarsi. Direi che il rischio di reiterazione del reato è molto astratto, addirittura pretestuoso”.
E in effetti il rischio di reiterazione del reato, nell’ottica dei giudici del Riesame (e ancora prima della gip), risulta di fatto connaturato al mantenimento della carica di governatore: Toti può reiterare il reato in quanto presidente di regione. Ne consegue che l’unica via di uscita sono le sue dimissioni. “Mi sembra si sia di fronte a una forma di prevaricazione da parte della magistratura rispetto alla libertà e al dovere di esercizio di una funzione pubblica”, dice Fiandaca. “Ha ragione Cassese nell’evidenziare che non c’è sufficiente rispetto per l’esercizio della pubblica funzione. C’è un’interferenza a gamba tesa della magistratura”, aggiunge l’insigne giurista.
Eppure, nella serata di ieri, sono giunti segnali di possibile cedimento da parte di Toti. “E’ chiaro che oggi per me la poltrona di presidente è maggiormente un peso che un onore. Forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto...”, ha scritto il governatore ligure in una lettera al suo legale, l’avvocato Stefano Savi. “Vedo come una liberazione poter ridare la parola agli elettori – aggiunge Toti – ma la presidenza non è un bene personale... La regione è un patrimonio collettivo. Di chi l’ha votata, di chi l’ha sostenuta, di coloro che si sono spesi per una avventura politica. Ho sperato, e spero ancora, che giustizia e politica possano rispettare i propri ruoli e le proprie prerogative. Che, mentre i pm legittimamente indagano, la politica, con le sue regole, i suoi riti, le sue Aule, possa fare le proprie considerazioni per il bene comune. Sembrano regole astratte, ma si chiamano democrazia”.
“Nei prossimi giorni, con il permesso dei magistrati, tornerò a incontrarmi con gli amici del mio movimento politico, gli alleati, e tutti coloro che potrò vedere per parlare di futuro. E le scelte che faremo saranno prima di tutto per il bene della Liguria a cui oggi tutta l’Italia dovrebbe guardare con grande attenzione”, aggiunge Toti, che si dice “orgoglioso della consapevolezza di essere meno ricco di quando ho cominciato a fare politica, meno libero, ma di aver contribuito a costruire una Liguria più ricca e più libera”.