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ORRORE CARCERARIO

Il penitenziario minorile di Treviso visto da dentro, dove la doccia si fa nella tazza alla turca

Serenella Bettin

I detenuti dell'istituto veneto sono circa il doppio di quelli che la struttura può ospitare e vivono tra celle sovraffollate, materassi di fortuna e spazio insufficiente. I timori degli agenti di polizia penitenziaria e le denunce di Antigone. Reportage

Treviso. Non passa l’aria come non passa il tempo, dentro al carcere minorile di Treviso. Il passare delle ore, dei minuti, dei secondi è scandito dal tonfo secco di quelle cancellate che sbattono, si aprono, si chiudono, si riaprono e si chiudono di nuovo. “Apri”. “Chiudi”.“Chiudi”. “Apri”, sono le parole di Giacomo, bimbo di due anni che vive in carcere con la madre. Divenute tormentone litanico dell’estate a Rebibbia. Qui non siamo a Rebibbia. Ma la situazione è pressoché drammatica. “La stanza 5 è già al massimo della capienza”, c’è scritto in una lettera che accompagna l’ingresso di un nuovo ragazzo. Questo comporta il “dover aggregare un ulteriore materasso di emergenza”. “Capoposto! – protestano i detenuti – non siamo animali che dobbiamo dormire in questo stato”. Una struttura quella di Treviso, cinta da enormi e invalicabili mura. Sopra le mura, le torri di guardia. E sotto le torri di guardia, le recinzioni, il filo spinato. La porta a vetri conduce alla sezione per i minori. A destra e a sinistra ci sono le stanze di “pernottamento”. Le brande appoggiate alle pareti, i materassi accatastati per terra che si infilano tra i “letti”. Chi non ci sta, dorme sul pavimento.

Stanze per tre persone, dove dentro sono in sei. Quando scende la notte, li vedi rannicchiati, rattrappiti, le teste che spuntano da sotto i letti di chi ce l’ha fatta ad accaparrarsi una branda. “Qui c’è la legge di chi arriva prima, e di chi è dentro da più tempo”, ci dicono. Una struttura questa pensata per 12 persone, ma ora sono 21. Un numero che oscilla, a seconda degli ingressi, arrivi, partenze, come un tabellone in stazione che aggiorna i binari. Fino all’altro giorno erano in 24. Scesi a 23, 21, poi tornati a 22. “Un detenuto è andato via – ci dice un agente di polizia penitenziaria – ma domattina ne arriva un altro, scendiamo di uno per 24 ore, poi torniamo tale e quale. Siamo sempre in ansia”. Qui c’è anche il ragazzo che il 28 giugno dell’anno scorso, nel quartiere di Primavalle a Roma, aveva ammazzato Michelle Causo, e poi l’aveva chiusa in un sacco nero e lasciata dentro un carrello della spesa. Ora gli hanno dato vent’anni di reclusione. Ed è lui che qualche settimana fa è rimasto al centro di una polemica perché dal carcere avrebbe usato i social. “In queste condizioni cosa vuoi riformare qui dentro?”, sbotta un agente. Per ogni detenuto ci vogliono tot poliziotti, ma, “la pianta organica di 38 unità di polizia penitenziaria è studiata per una capienza di 12 detenuti”, aveva fatto sapere il sindacato autonomo del Sappe. “Un numero così alto di detenuti per l’istituto potrebbe causare, in una rivolta, un’evasione di massa – continua – siamo preoccupati che da qui a breve possa riaccadere quanto avveratosi nell’aprile 2022, ma con conseguenze ben peggiori”. 

 

Quell’anno, qui, ci fu una rivolta: i ragazzi appiccarono il fuoco, incendiarono i materassi, misero a soqquadro tutto. Alcuni agenti furono sequestrati. Dalle immagini dell’epoca, girate da alcuni residenti della zona – qui attorno è pieno di case e il carcere se ne sta qui incastonato alle porte della città murata – si vedono le fiamme salire fino a su sulle finestre e il primo piano completamento coperto di fumo. “Non è gestibile la situazione qui dentro – dice il poliziotto – dormire su materassi e lavarsi sopra le turche dove defecano”. Prego? “Sì, guarda”.

In ogni cella, c’è uno stanzino dove fare i bisogni. Un buco di un metro, dove i detenuti si fanno anche la doccia. A terra c’è una turca grigia di metallo, e all’estremità della turca c’è attaccata una grata. Se prendi la grata e la posizioni sopra la turca, quel water a terra diventa una doccia, con il sifone attaccato alla parete per lavarsi. Era già stata l’associazione Antigone, che si batte “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, a denunciare la situazione. “I bagni – si legge in una relazione – risultano essere inadeguati: si nota qui la presenza delle turche, le quali sono dotate di una griglia abbassabile per poter consentire le docce. La sovrapposizione tra la doccia e la turca è un aspetto critico: solleva degli interrogativi sia rispetto alle condizioni igienico sanitarie, che alla gestione dei turni tra i detenuti per quanto riguarda l’uso del bagno”. Infatti, qualche settimana fa, ci raccontano, un ragazzo, non riuscendo a trattenere i proprio bisogni, trovando il bagno occupato, se l’è fatta addosso. 

L’afa poi, qui dentro, non consente di respirare. Ci sono dei ventilatori, nuovi, ma la Pianura Padana d’estate raggiunge picchi di calore e umidità notevoli. Il Garante dei diritti della Persona del Veneto auspica un “trasferimento del nuovo Ipm – istituto penitenziario minorile – a Rovigo”. Si chiudono i cancelli. Quello scampanellio di chiavi che apre e chiude le celle fa trasalire. Non circola il vento qui dentro. Fuori, invece, sventolano due bandiere: quella italiana e quella dell’Europa.

 

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