l'editoriale del direttore
Non si può parlare del dramma delle carceri senza parlare dell'abuso della carcerazione preventiva
Il partito unico delle manette è solito rimuovere completamente che il 27,6 per cento dei detenuti, nel nostro paese, si trova in carcere pur essendo ancora in attesa di giudizio. Il sovraffollamento spiegato a Travaglio
Abbiamo scoperto ieri da Marco Travaglio che il problema del sovraffollamento delle carceri è, citiamo testualmente, “frutto di un equivoco autolesionista tutto italiano”, in quanto l’Italia calcolerebbe i posti-cella in base a una legge che fissa uno spazio minimo che deve avere un detenuto in Italia (5 metri) superiore a quello considerato inumano dalla Corte di Strasburgo (3 metri). L’equivoco autolesionista tutto italiano sulle condizioni disumane delle carceri italiane – quattromila detenuti in più rispetto all’estate scorsa, 61.480 detenuti a fronte di una capienza di 47.300 posti, 60 suicidi tra i carcerati nel 2024, due solo ieri – potrebbe apparire meno ambivalente mettendo al centro del dibattito qualche altro numero utile. Si potrebbe ricordare, per esempio, cosa che Travaglio non fa, che da quando la Corte dei diritti europei è stata istituita, nel 1959, l’Italia è il terzo paese ad aver ricevuto più condanne (2.466), subito dopo Turchia e Russia (dati 2021) e che l’Italia è stata condannata nove volte per tortura (l’Ungheria mai, per dire), 297 volte per violazione del diritto al giusto processo (21 l’Ungheria, per dire), 33 volte per trattamento inumano e degradante (38 l’Ungheria, per dire) e 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi (344 l’Ungheria, per dire).
Si potrebbe ricordare, per esempio, cosa che Travaglio non fa che la stessa Corte europea a cui il direttore del Fatto si appella ha calcolato il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane pari al 130 per cento, e nella terribile Ungheria, per dire, il tasso, secondo il rapporto del Consiglio d’Europa, è del 111,5 per cento. Si potrebbe ricordare tutto questo ma lo spunto di riflessione, per così dire, offerto da Travaglio ci porta a ragionare su un altro tema che riguarda le carceri e che spiega bene la ragione per cui il partito unico delle manette, il partito unico del giustizialismo chiodato, il partito unico del securitarismo giudiziario considera un tema da rimuovere, “un equivoco”, il dossier sul sovraffollamento delle carceri italiane. E la ragione è in una percentuale offerta dal consiglio d’Europa. Questa: il 27,6 per cento dei detenuti si trova in carcere pur essendo ancora in attesa di giudizio.
Quando si parla di carceri, il grande elefante nella stanza è proprio questo e si lega a un tema evidentemente rimosso dal partito unico delle manette: quanto l’abuso della carcerazione preventiva rappresenta un acceleratore del sovraffollamento carcerario. I numeri sono semplici. Il sovraffollamento carcerario è pari a 14 mila persone. I detenuti che si trovano in carcere in attesa di giudizio sono 17 mila. La metà dei detenuti che si trova in carcere in attesa di giudizio statisticamente viene assolta o condannata con una sospensione condizionale, il che significa che la carcerazione non era giustificata, e non ci vuole molto dunque a capire che sarebbe sufficiente introdurre dei meccanismi in grado di governare gli automatismi con cui i magistrati sbattono i sospettati in galera per dimezzare letteralmente il sovraffollamento carcerario. Per chi ha trasformato i magistrati in entità infallibili, legittimati cioè a utilizzare le leve del potere giudiziario per combattere i fenomeni e non solo i reati, il tema è difficile da affrontare perché affrontare questo tema significherebbe ammettere quello che il partito unico delle manette non può riconoscere. Ovverosia che nel sovraffollamento delle carceri vi è una diretta responsabilità della magistratura. L’approvazione del ddl Nordio va in questa direzione, specie nella parte in cui prevede che la richiesta di arresto dell’indagato avanzata dal pm non sarà più valutata da un solo giudice, ma da tre giudici. Ma fino a che l’Italia non si ribellerà a una classe dirigente che ha trasformato in slogan di successo frasi come “buttare la chiave” e fare “marcire” i reclusi in galera, sarà possibile trasformare il sovraffollamento delle carceri in un equivoco, anche per evitare di guardare con indignazione a quell’osceno elefante nella stanza chiamato abuso della carcerazione preventiva.