accuse evanescenti
L'ultimo show antimafia: Pignatone indagato per favoreggiamento a Cosa nostra
L'ex procuratore di Roma sotto indagine a Caltanissetta per il presunto insabbiamento dell’indagine mafia-appalti. L’ultimo colpo di teatro di una tragedia, l’assassinio di Falcone e Borsellino, che dopo trentadue anni ancora occupa le aule di giustizia italiane
Giuseppe Pignatone, per anni procuratore aggiunto a Palermo, poi capo delle procure di Reggio Calabria e Roma, ora giudice del Tribunale vaticano, è indagato a Caltanissetta con l’accusa di favoreggiamento aggravato dall’aver aiutato Cosa nostra. E’ l’ultimo colpo di teatro di una tragedia, l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che dopo trentadue anni ancora occupa le aule di giustizia italiane.
Prima sono stati processati e condannati i mafiosi autori delle stragi (due i processi per la strage di Capaci, addirittura quattro per quella di via D’Amelio, oggetto pure del più grave depistaggio giudiziario di sempre). Poi le mire dei pm, secondo un pazzo ribaltamento di prospettiva, si sono rivolte contro gli uomini dello stato e gli investigatori (come Mario Mori) che hanno contribuito alla cattura dei principali boss di Cosa nostra, come Riina e Provenzano. Tutti assolti dopo anni di gogna. Poi è stata la volta del più pazzo dei teoremi, quello sulla trattativa stato-mafia, contro gli ex vertici del Ros e alcuni politici, come Mannino. Anche qui tutti assolti. Ora è la volta dei magistrati. Pm contro pm.
L’ennesimo colpo di scena è stato servito come da tradizione quasi in concomitanza con l’anniversario di una delle stragi (quella di via D’Amelio, avvenuta il 19 luglio 1992). Pignatone indagato per mafia. Uno smacco per un magistrato simbolo del contrasto alla criminalità organizzata (fu lui l’ideatore dell’inchiesta del decennio, “Mafia Capitale”, che poi però la Cassazione stabilì non essere mafia, ma solo corruzione). Il magistrato è stato sentito ieri mattina dagli ex colleghi nisseni, che hanno aperto l’ennesima inchiesta sulle stragi del 1992, incentrandola sul presunto insabbiamento dell’indagine mafia-appalti, portata avanti da Falcone e Borsellino (con il supporto dei carabinieri del Ros, in particolare Mori e De Donno) tra la fine degli anni 80 e il 1992.
Pignatone avrebbe commesso il reato ai tempi in cui era pm a Palermo, in concorso con l’ex procuratore Pietro Giammanco, scomparso nel 2018 e considerato l’istigatore della condotta. Insieme a Pignatone sono indagati per il medesimo reato anche l’ex sostituto procuratore a Palermo Gioacchino Natoli e il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti.
I dettagli dell’inchiesta non sono ovviamente noti, ma nella sostanza, secondo la procura di Caltanissetta, Natoli e Pignatone, dietro la regia di Giammanco, avrebbero cercato di insabbiare un filone dell’indagine mafia-appalti per aiutare imprenditori mafiosi, come Francesco Bonura, Antonino Buscemi e il gruppo guidato da Raul Gardini.
Il tema dell’indagine mafia-appalti era stato sollevato dall’avvocato Fabio Trizzino (marito di Lucia Borsellino) in una lunga audizione avvenuta tra settembre e ottobre 2023 alla commissione parlamentare antimafia. Trizzino fece riferimento, per esempio, al fatto che ai tempi dell’indagine il padre di Pignatone, all’epoca sostituto a Palermo, rivestiva l’incarico di presidente dell’Espi, una società pubblica della regione siciliana che controllava la Sirap, cioè la grande impresa che allora gestiva appalti del valore di mille miliardi di lire e che aveva a che fare con vicende che potevano essere oggetto di indagine.
A Natoli, invece, i pm contestano di aver finto di indagare su una tranche del dossier che riguardava infiltrazioni mafiose nelle cave di Massa Carrara. In particolare, Natoli avrebbe disposto intercettazioni lampo e “solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”, evitando così che fossero trascritte invece conversazioni “particolarmente rilevanti”. Inoltre, secondo la procura di Caltanissetta, “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche, avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci”. Questa ipotesi, tuttavia, contrasta col fatto che le bobine non sarebbero mai state distrutte e sono invece state trovate negli archivi della procura di Palermo.
Insomma, per il momento dominano le congetture. Tali sono probabilmente destinate a rimanere, dato che si parla di fatti risalenti a oltre trent’anni fa. L’ennesimo spettacolo di un teatro delle evanescenze. In attesa del prossimo.