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L'intervista

"Il mio carcere lager". Parla il direttore dell'istituto minorile di Treviso

Serenella Bettin

"Il carcere è un contenitore di vite umane che si riempie e si svuota. Ma oggi è diventato difficile svuotare. Mancano comunità, trovarle è impossibile. Manca il territorio che accolga questi ragazzi. Manca una magistratura attenta e sensibile. Pochissimi casi di permesso premio a casa. E nessuna detenzione domiciliare", dice Girolamo Monaco

Treviso. La sofferenza si consuma qui dentro, fra queste mura. Trasudano ansia disperazione angoscia, emanano sudore e puzza, vomitano speranze e sogni. Quelli brutti, come è scritto a matita sulle pareti di questa cella del carcere minorile di Treviso. “Faccio sogni brutti”, ha inciso un ragazzo. La sofferenza è tutta compressa qui dentro, in questo tempo sospeso, in questa cesura della vita, dove però non si respira. “Io la sento tutti i giorni la puzza di sporcizia qui”, ci dice Girolamo Monaco, il direttore di questo istituto, mentre ci accompagna in questa gabbia dove il sole entra sempre di sbieco. E com’è vivere ogni giorno con questa puzza? “È vivere. Anche questa è vita”. Accento ardentemente siciliano, piccolo di statura, veemente nelle parole e intenso nei gesti, a Treviso è giunto dalla sua Caltanissetta circa un anno fa perché questo carcere non lo voleva dirigere nessuno. Una struttura questa troppo sovraffollata, dove l’avverbio serve a descrivere la realtà. Direttore, ma perché è così pieno? “Eh. Fermiamoci un attimo. Ho bisogno di riflettere. Il carcere è un contenitore di vite umane che si riempie e si svuota. Ma oggi è diventato difficile svuotare, difficilissimo. Mancano comunità, trovarle è impossibile. Manca il territorio che accolga questi ragazzi. Manca una magistratura attenta e sensibile. Pochissimi casi di permesso premio a casa. E nessuna detenzione domiciliare”.
 

Un istituto penale questo, come vi avevamo raccontato nelle colonne del Foglio venerdì scorso, pensato per 12 persone, dove fino a due settimane fa erano il doppio. In un anno da settembre 2023 a giugno 2024, sono stati attivati solo due affidamenti in prova al servizio sociale ed entrambi i detenuti erano prossimi al fine pena. “Ma non lo vede? - sbotta Monaco - Non lo vede che siamo come una cloaca che non spurga? Non lo vede”, ci dice indicandoci quelle finestre lì su in alto. Sono celle da tre persone, chiuse da graticole, diventate buchi sorretti da tubi di ferro, dove dentro dormono in sei. Qualcuno fuori ha appeso una bandana, un paio di slip. “Siamo in sofferenza. Siamo stati lasciati soli - dice Monaco - e il carcere quando è così abbandonato, diventa lager. Ha visto un magistrato di sorveglianza che si sia interessato a questa situazione? No. Per carità, ora il capo dipartimento si è attivato, e da 25 detenuti ne abbiamo 18. Ma il problema qui è la qualità della gestione. Quando un ragazzo perde la speranza, quando perde il senso di stare bloccato qua. Il carcere a volte ti permette di fermarti, altrimenti è una caduta libera verso la devastazione, ti può dare gli strumenti per ripartire, questo è il senso del carcere, altrimenti non ne ha. Ma se non abbiamo un servizio sociale, se non abbiamo una magistratura accanto, che cosa facciamo? Conteniamo corpi. Noi siamo preparati a gestire le emergenze, fanno una retata e da 18 persone passiamo a 28 così, ma non siamo preparati a tenerne così tante per tanto tempo senza uno svuotamento. Non ci sono mai state custodie cautelari così lunghe”. Ma da quanto va avanti questa situazione? “Ah senta allora, sì il decreto Caivano ha aumentato questo sovraffollamento, ma è troppo comodo addossare tutta la colpa a tale disposizione. Io sono 30 anni che faccio questo lavoro, è il sistema che è completamente in crisi. Mancano gli elementi di aggancio alla comunità. Ma non lo vede? Non lo vede, le ripeto, che siamo come una cloaca che non spurga? La cloaca a che serve? Si riempie ma si svuota. Una volta questo sistema di svuotamento c’era. Ora non c’è più. I magistrati perché non rispondono alle richieste degli operatori?”.
 

L’ultima richiesta qui per trovare una comunità a un detenuto, è di maggio scorso, ma la risposta che prevede un’ipotesi è del 29 luglio, tre giorni fa. “I magistrati prima erano più attivi, ora forse sono sotto organico, ma bisogna venire qui per capire. Guardi, legga: un ragazzo mi ha scritto questa lettera”. La missiva è del 24 luglio scorso: “Direttore tanti chiedono sussidio o un bagno più di un metro quadro, io le chiedo se possiamo avere una persona qui dentro brava a disegnare perché la mia cella è piena di scritte. Ho provato a coprirle ma la fodera del cuscino non basta. Le chiedo se può introdurre una attività per abbellire un po’ i muri che ci circondano”. “Il problema delle carceri - incalza Monaco - non è costruirne di nuove. Qui ci sono i nostri figli e sono i figli di questa società”. Ci passa accanto un ragazzo. Ha dei tagli sul braccio sinistro. Si tagliano per esprimere il loro disagio. Spaccano l’accendino, appiattiscono il lamierino all’interno e lo usano come lama. Poi, in fondo alla parete di quel lungo corridoio c’è un affresco. Diviso a metà. Da una parte lo sfondo colorato di grigio con la scritta “Passato”, dall’altra l’azzurro cielo con scritto “Futuro”. Il presente si consuma qui dentro.