il colloquio

La politica che arretra. Il potere dei giudici. Il ricatto. Intervista a Giovanni Toti

Manila Alfano

"Sono libero perché ho fatto un passo indietro, perché la magistratura nel mio caso ha occupato uno spazio che la politica ha ceduto", dice l'ex governatore ligure. “Non ho falsificato un atto, non ho svenduto la mia funzione. La politica deve avere il coraggio di reagire e non lasciare la strada aperta al governo dei giudici”

Il cancello bianco sì riapre quasi dopo tre mesi. Giovanni Toti aspetta in cima, sul terrazzino della casa di Ameglia, a centodieci chilometri da Genova, dove ha passato ottantasei giorni ai domiciliari, come un Edmond Dantes moderno. O almeno così si sente. “Sono libero – ci dice – perché ho fatto un passo indietro, perché la magistratura nel mio caso ha occupato uno spazio che la politica ha ceduto”. Ieri, dopo quasi tre mesi, il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni ha accolto la richiesta di revoca degli arresti domiciliari presentata dall’avvocato Stefano Savi. E’ andata come si immaginava. Toti che non si dimette non meritava la libertà. Toti che si dimette merita la libertà. Ricatto?

 

Non usa giri di parole, l’ex governatore della Liguria, e dopo tanto silenzio  ha voglia di parlare, di raccontare. Lo fa anche con noi. Ma non immaginatevi un uomo fiaccato e spento dai mesi passati agli arresti domiciliari. “Io ho la coscienza a posto”, dice. Toti non abbandona mai il suo tavolino, sotto a un ombrellone che a stento lo protegge da una giornata con un caldo torrido e insopportabile. E lui è lì, come indifferente, concentrato come è a organizzare le idee, a focalizzare, a pensare, a reagire. “In questa storia la politica è la vera perdente perché più che abbandonato dai colleghi ho percepito questa estrema timidezza della politica che invece dovrebbe avere più stima di sé, più coraggio, e più voglia di dire e di urlare: sono un potere da rispettare, perché eletto dal popolo”. 

 

“E invece di fronte al potere della magistratura la politica è lì che balbetta, che si ritira e che lascia il campo ai giudici”. Riaccende il sigaro che nel frattempo si era spento. Gli vengono i brividi a ripensare ai tre anni di intercettazioni subite, un tempo enorme e sproporzionato. Poi, in un attimo, un velo gli copre il volto: “A me hanno rovinato la vita, ma sia chiaro che gli investitori e i progetti per rendere la Liguria una regione ancora più attrattiva e più attraente non sono lì ad aspettare per sempre. E chi vuole investire ha a disposizione tutto il mondo per farlo”. Pensa alla Palmaria, un investimento da trenta milioni che adesso è bloccato, sospeso.

 

Dalla sua casa si vede Bocca di Magra, le barche ormeggiate, le colline a far da braccia tutte intorno. “Il modello che ho costruito io in nove anni, con il mio partito, ha voluto essere un ascensore sociale per il territorio. C’è poi anche il caso di Porto Venere e Portofino, non più solo chicche riservate a pochi eletti, cioè non più un modello per pochi soci, ma aperto finalmente a un turismo di qualità, capace di essere un volano per tutti”.

 

Tra le accuse che lo hanno portato all’arresto, come si ricorderà, c’è la corruzione nei confronti del gruppo Spinelli per alcune decine di migliaia di euro. Ma Toti respinge le accuse e difende il modello e gli atti compiuti: “Non ho falsificato un atto, non ho svenduto la mia funzione, ma mi sono dato da fare perché le persone competenti, i funzionari dell’amministrazione, dessero una risposta ai legittimi interessi degli imprenditori che mi sollecitavano. L’ho fatto con Spinelli come per tanti altri”. E ancora: “In nove anni ho trasformato una Liguria acquattata e fossilizzata, ho rivitalizzato il tessuto economico ma ho pagato sulla mia pelle un conto salato perché mi sono opposto a un modello moralistico, giustizialista e pauperistico impregnato dalla cultura del sospetto verso chi lavora. E di fronte a tutto questo, la politica non reagisce. Di fronte a tutto questo, la magistratura colpisce con le armi che la politica le ha lasciato”.

 

E allora, gli si chiede, perché lasciare? Perché fare un passo indietro? Perché cedere al ricatto? Perché, dice lui, ancora una volta il sistema in cortocircuito sembra prevalere. “Un braccio di ferro non avrebbe portato a niente, le mie funzioni erano interdette e non potevo far pagare un prezzo così alto ai cittadini”. Come ha passato questo tempo? “Per fortuna qui la casa ha un giardino, correvo sul tapis roulant, seguivo i programmi tv, leggevo e leggevo. Ken Follet, Limonov, guardavo serie tv e leggevo ancora”. Poi indica la piscina: “Ma ovviamente è gonfiabile, fuori terra, eh. Si dica, prima che succeda qualche altro problema”. L’umore è buono, nonostante tutto. Toti sorride, ha occhi vivissimi che ripercorrono questo tempo ma guardano anche al futuro. “Non farò il capolista ma sceglieremo un candidato dopo un confronto con i partiti. Ma spero che la Liguria non venga riconsegnata alla sinistra, che sembra la parodia dei film western che sfila con i cappi ma senza avere visione. E spero che qualcuno, quando andrà a votare, trovi la forza di ricordare che la politica deve avere il coraggio di reagire e di non lasciare la strada aperta al governo dei giudici”.

Di più su questi argomenti: