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la sentenza

Criticare un magistrato si può. Anzi, è un dovere prima che un diritto

Claudio Cerasa

Un corsivo del Foglio, la querela di Piercamillo Davigo che si è sentito diffamato e ora la sentenza di archiviazione che è un piccolo manifesto di libertà. Perché anche un giudice vede nella critica a un magistrato non un’eresia ma un segnale di buon funzionamento del sistema democratico 

Sorpresa e doppio wow. Criticare i magistrati non è più un’eresia di stato. Mettere in luce i loro errori, anche con crudezza, non è più un tabù. E utilizzare la libertà di stampa per mettere alcune verità non convenzionali di fronte a un pubblico ministero non è più un atto proibito dalla teocrazia giudiziaria ma è un diritto costituzionale che può e deve essere esercitato da chi svolge una funzione pubblica, anche se questo esercizio comporta l’utilizzo di espressioni dirette, forti, pungenti e persino violente. La storia è questa ed è una storia interessante non solo perché riguarda il nostro giornale. Due anni fa, l’8 febbraio 2022, il Foglio ha pubblicato un corsivo di Luciano Capone. Al centro del corsivo, vi era un ragionamento rivelatosi poi particolarmente centrato: il processo con cui deve fare i conti il magistrato Piercamillo Davigo, processo in cui Davigo è stato da poco condannato in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio, è un processo al centro del quale non vi è il destino di un singolo pm ma vi è il destino del nostro stato di diritto. 

 

Se la condotta di Davigo dovesse essere ritenuta lecita, scriveva il nostro Capone, questo vorrebbe dire che un consigliere del Csm potrebbe legittimamente ricevere atti segreti d’indagine da un qualsiasi pm e potrebbe usare queste informazioni riservate, in via informale, per regolare i conti con i nemici fino a condizionare il funzionamento di un organo costituzionale. Nel corso del processo, i legali di Davigo hanno sostenuto più volte che quel che Davigo ha fatto – usare verbali coperti da segreto per denunciare la presunta inerzia della procura di Milano contro la famosa e famigerata loggia massonica chiamata Ungheria, provando a delegittimare al contempo il consigliere del Csm Sebastiano Ardita – lo ha fatto sempre nel rispetto della legge. Sul Foglio ci siamo permessi di notare che il problema è proprio quello: se il comportamento dell’ex pm fosse ritenuto lecito, il Csm diventerebbe una centrale di dossieraggio istituzionalizzato e la rivelazione di segreto sarebbe un reato per tutti tranne che per i pm. Davigo ha scelto di querelarci per questo articolo, ritenendosi diffamato, e due anni dopo un giudice ha scelto di archiviare la sua querela offrendo motivazioni interessanti. Ne è uscito un piccolo manifesto di libertà.

 

Il giudice inizia in modo soft, prendendola da lontano, e dicendo che “la conoscenza da parte della collettività di fatti giudicati di interesse pubblico rappresenta un presupposto necessario per l’esercizio di quella democrazia popolare stabilita dalla Costituzione, in quanto non vi può essere una valida democrazia se il popolo non è adeguatamente informato”. Poi si avvicina alla ciccia: “Il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni su questioni di interesse generale è tutelato a condizione che essi agiscano in buona fede, sulla base di fatti esatti, e forniscano informazioni ‘affidabili e precise’ nel rispetto dell’etica giornalistica tramite l’esercizio di tale diritto”. Quindi dice che “può accadere che l’esposizione di una notizia leda l’onore o la riservatezza di un soggetto” e che “in tali ipotesi secondo la giurisprudenza può ritenersi sussistente la scriminante in questione, soltanto qualora la notizia diffamante sia vera, pertinente e continente”. E infine spiega perché il diritto di critica ha un perimetro diverso dal diritto di cronaca in quanto, nel primo caso, “la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica”. Il giudice poi entra nel merito della questione e offre altri spunti interessanti. Nell’imputazione, dice, non è esplicitamente contestato a Davigo di aver agito per screditare il consigliere Sebastiano Ardita, ma è ragionevole reputare come questo aspetto sia dedotto dal giornalista dalla lettura dell’atto di costituzione di parte civile del consigliere Ardita, da alcuni episodi contestati nell’imputazione e dall’interrogatorio reso da Davigo. Per quanto riguarda “le considerazioni del giornalista in ordine alle finalità perseguite dal Davigo, opera la scriminante del diritto di critica”. E non solo: “Circa la consegna dei verbali di Amara – scrive il giudice – si è detto che l’imputazione della procura di Brescia attribuisce allo Storari la condotta di consegna degli stessi al Davigo. E’ discusso tra le parti se una simile consegna sia stata o meno sollecitata dal Davigo. Nell’imputazione che è stata mossa all’odierno querelante si contesta che lo stesso ne entrava in possesso senza specificare se ne abbia sollecitato la consegna. Tuttavia, una simile lettura della vicenda è ragionevolmente giustificabile proprio dalla lettura del verbale di interrogatorio di garanzia a cui si è sottoposto il Davigo, il quale, come dallo stesso dichiarato, aveva bisogno di un supporto alla memoria. Pertanto, era ragionevole credere, così come ha fatto l’autore dell’editoriale, che a un certo punto della conversazione con Storari, il Davigo gli avesse sollecitato l’invio dei file contenenti le dichiarazioni di Amara”.

 

Non solo. Il giudice, come ha fatto il Foglio, nota che “dalla lettura degli atti a disposizione, è plausibile reputare come il Davigo si sia attivato anche per un eccesso di zelo nell’impulso di far sì che si scoprissero tutti i partecipi della loggia Ungheria, che si fossero eventualmente infiltrati nelle istituzioni, in modo tale che, qualora magistrati, fossero anche sanzionati sul piano disciplinare. E’, però, del tutto ragionevole credere che una persona possa essere mossa contemporaneamente da più finalità e, nel caso di specie, è plausibile che, come sostenuto dall’editoriale, il Davigo abbia voluto anche sfruttare l’occasione, generata dall’investimento di soggetti posti al vertice delle magistrature e di organi costituzionale (o di rilievo costituzionale), onde mettere l’Ardita in cattiva luce, persona che, ad avviso del querelante, non era più meritevole di fiducia”. 

 

Svolta la seconda premessa, il giudice entra nel merito e spiega, con parole chiare, perché un giornalista che mette in luce delle problematiche che riguardano un magistrato, anche con toni aspri, sta solo facendo il suo dovere e sta facendo anche un buon servizio alla democrazia. “La conoscenza da parte della collettività di fatti giudicati di interesse pubblico rappresenta un elemento fondamentale della democrazia – dice ancora il giudice – in quanto presupposto necessario per l’esercizio di quella democrazia popolare stabilita dalla Costituzione è che il popolo sia adeguatamente informato”. E come si fa a capire quali sono i limiti? Ecco qui: “Per valutare la sussistenza di questo connotato dell’informazione bisogna prendere in considerazione molteplici fattori: particolare allarme sociale dei fatti della notizia (ad esempio ipotesi di reato) in ragione della carica negativa che essi esprimono; ambito di rilevanza e attualità della notizia, valutando il contesto istituzionale, economico, sociale, storico e geografico su cui va a incidere; notorietà del querelante; notorietà di altri soggetti coinvolti dalla notizia”. La notorietà, sì. “Sulla notorietà – dice il giudice – va precisato che più la vita di una persona è strettamente connessa a quella del contesto sociale di appartenenza, più l’interesse alla divulgazione della notizia, che la riguarda, è elevato e più è idoneo a prevalere sull’interesse alla riservatezza”.  La notizia, dice ancora il giudice citando il nostro articolo, “era di particolare rilevanza sociale, poiché riguardava uno dei magistrati simbolo del pool di ‘Mani pulite’, che ha acquisito notorietà a seguito all’inchiesta di ‘Tangentopoli’. Il querelante è un soggetto noto tra il pubblico, che partecipa a trasmissioni televisive, che rilascia interviste, che esprime le proprie opinioni in materia di giustizia e che, come scritto nell’articolo oggetto di denuncia, è reputato dall’opinione pubblica come ‘un eroe senza macchia e senza paura’. La vicenda di Mani pulite e di Tangentopoli è talmente nota da essere stata persino riportata nell’ambito di una serie tv. Davigo è quindi un personaggio la cui notorietà nazionale è indiscussa così come la sua credibilità in gran parte dell’opinione pubblica. Pertanto, è del tutto legittimo che l’editoriale riporti la notizia delle accuse mossegli dalla Procura presso il tribunale di Brescia. Peraltro, nel corpo dell’articolo l’editorialista pone l’accento sul ‘metodo’ seguito dal querelante per svelare e probabilmente usare le notizie riservate di cui era venuto in possesso, che rendevano l’organo di autogoverno della magistratura, il Csm, una ‘centrale di dossieraggio istituzionalizzato con un incontrollato potere di ricatto e condizionamento su qualunque persona o organismo’”. 

 

Il giudice, infine, sembra concordare con noi sul fatto che una storia simile sia un tema cruciale non solo per il futuro del singolo imputato ma anche per il futuro dello stato di diritto. “In sostanza, come chiariva l’autore dell’editoriale, non è in ballo la sorte di Davigo, ma quella delle istituzioni democratiche”. Perché? Semplice: “La notizia coinvolgeva un organo di rilevanza costituzionale come il Csm, nonché il sostituto procuratore di Milano Paolo Storari, il consigliere del Csm Ardita e soggetti, consiglieri del Csm e organi di vertice delle magistrature, nonché il presidente della commissione Antimafia, che avevano ricevuto le confidenze di Davigo sulle inquietanti rivelazioni di Amara. Per quanto qui interessa era una notizia necessariamente da pubblicare e divulgare, onde consentire all’opinione pubblica di capire esattamente il momento storico che stava vivendo la magistratura persino nei suoi organi di vertice, negli organi di autogoverno e nei magistrati simbolo della legalità. Si trattava, peraltro, di una notizia vieppiù necessaria da apprendere, poiché il lettore l’avrebbe potuta confrontare con quella sottesa all’asserito svelamento del segreto da parte del Davigo: da un lato vi era, infatti, un consigliere del Csm che, appresa la notizia dell’esistenza di una loggia massonica insinuata nell’ambito delle istituzioni con i propri membri, reputa di divulgare la stessa ad altri membri del Consiglio e ad altre cariche istituzionali, mentre dall’altro vi era la possibile esistenza di una loggia massonica in grado di incidere sulla vita politica e istituzionale del Paese”. Una notizia necessaria. Prima conclusione: “Pertanto, al di là o meno della liceità della condotta, il lettore, con l’articolo sottoposto alla sua attenzione dal Foglio, avrebbe potuto valutare la condotta del Davigo, vagliando se considerarla come espressione dell’‘eroe senza macchia e senza paura’ di Mani pulite, come una sorta di rivalsa nei confronti dell’Ardita o come tentativo di condizionamento del Csm”. Seconda conclusione: “Il problema della continenza è spesso venuto in rilievo nell’ambito della critica politica e giudiziaria. In tali casi, la giurisprudenza ritiene che la critica sia uno strumento che il cittadino ha per contrastare e mettere in discussione i poteri dello stato, essendo un mezzo per attuare la democrazia”. Vale per tutti i poteri dello stato: anche per i magistrati. Ma non basta. Il giudice dice che i magistrati dovrebbero pretendere nei loro confronti più attenzione ancora rispetto a quella che viene riservata ad altri cittadini. “Le condotte nei confronti di un magistrato vanno, però, valutate con un maggiore rigore, atteso che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, tali più intensi limiti trovano spiegazione soprattutto nel fatto che, a differenza di quel che accade per altri soggetti pubblici, il dovere di riservatezza generalmente impedisce ai magistrati presi di mira di reagire agli attacchi loro rivolti”. E infine: “La continenza delle espressioni che hanno prodotto l’effetto di ledere l’altrui reputazione è un concetto che presenta una sua necessaria elasticità ben potendosi ammettere che la durezza della critica e delle definizioni sia direttamente influenzata dalla natura ed essenza dei fatti oggettivi narrati”. E quando un magistrato criticato è un eroe del circo mediatico bisogna anche tenerne conto: “Davigo è persona che partecipa frequentemente a trasmissioni televisive e che rende spesso interviste sui giornali, cosicché è più che verosimile ritenere come sia stato in grado di ribadire più volte la liceità della condotta, replicando così agli articoli asseritamente diffamatori. Di conseguenza non è possibile applicare il medesimo rigore che la giurisprudenza Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) esige per gli altri magistrati che non hanno accesso ai mezzi di informazione”. E dunque: “Le critiche espresse dal giornalista rimangono nell’ambito del tollerabile, perché l’editoriale riguarda un fatto di reato, un soggetto noto tra il pubblico, il fatto investe un’istituzione come il Csm e i giudizi negativi espressi sulla persona del Davigo sono strettamente connessi alle accuse mosse e alle prospettazioni della parte civile Ardita”. La notizia interessante non è che la querela sia stata archiviata ma che anche un magistrato ritenga fondamentale per la salute del nostro stato democratico considerare la critica a un magistrato non come un’eresia di stato ma come un buon funzionamento del nostro sistema democratico. Un dovere, più che un diritto. 
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.