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L'intervento

Il sovraffollamento delle carceri è responsabilità di chi governa ora, non solo di chi c'era prima

Francesco Petrelli

Alla base dell'emergenza sociale che coinvolge il sistema penitenziario c'è una storia fatta di continue omissioni e silenzi. Di fronte a una simile, nefasta, mancanza di prospettive occorre un esame di coscienza da parte della politica. Le parole del presidente dell’Unione delle camere penali italiane al Foglio

Al direttore - Capita di poter avere ragione e torto al tempo stesso. Quando la senatrice Bongiorno ammonisce ricordando che “se siamo al sovraffollamento” la responsabilità è dei governi precedenti, dice una cosa vera perché gravi sono state le omissioni della politica intera e gravissime le mancanze di coloro che oggi rappresentano l’opposizione. Ma tali responsabilità diffuse non elidono affatto l’obbligo che grava sul governo attuale di risolvere quella emergenza sociale e politica giunta al suo apice critico. Quando vigili del fuoco, rianimatori, chirurghi e forze dell’ordine intervengono per porre rimedio alle urgenze del caso, non si attardano a ragionare circa la loro personale responsabilità nella produzione di quegli eventi nefasti. E tanto meno si impegnano, piuttosto che a risolvere l’emergenza in atto, a immaginare e progettare rimedi per un tempo futuro, necessari anch’essi, ma certo privi di quella concretezza e tempestività che il caso richiede. Ha ragione la senatrice quando dice che è “inaccettabile che si attribuisca a questo governo un problema antichissimo”, ma ciò che si rimprovera non è affatto di averlo provocato (nonostante alcuni tentativi idonei che vanno in tal senso) ma di non fare nulla per risolverlo. Di prospettare rimedi inconsistenti nonostante l’incedere di una crisi devastante e inarrestabile, che ha nei sessantaquattro suicidi solo il sintomo più drammatico. Di fronte a simili tragedie si interviene d’urgenza, non si almanacca del passato e del futuro. Si opera efficacemente sul presente.  Quando poi la senatrice Bongiorno dice che provvedimenti di “indulto” o “svuota carceri” sarebbero “anacronistici” e che chi “all’improvviso viene rimesso in libertà torna a delinquere” opera una arbitraria semplificazione. C’è infatti da chiederle come pensa che vivano il loro ritorno in libertà coloro che per fine pena escono dall’inferno di Sollicciano, di Canton Mombello, di Poggioreale e di quante altre strutture carcerarie in sofferenza, che non sono in grado di garantire né umanità né dignità.

Occorre chiedersi di quale trattamento risocializzante abbiano potuto fruire in quei luoghi e in che modo le condizioni di deprivazione in cui sono stati costretti a vivere  potranno costruire quella auspicata prospettiva di vita migliore che la pena costituzionalmente intesa avrebbe dovuto garantirgli. Come ben sa la senatrice quel “tendere” alla rieducazione, come recita l’art. 27 della nostra Costituzione, riguarda la non coercibilità della compliance del condannato, ma non l’offerta trattamentale dello stato. Cosa dovremmo rispondere a tutti coloro che escono dal carcere dopo aver scontato la loro pena facendo esperienza dell’incapacità dello stato di rispondere ai propri obblighi. Dopo aver visto la sua inidoneità “a garantire la dignità dei detenuti”, che – al contrario – per la senatrice Bongiorno dovrebbe essere onere inderogabile dello stato nei confronti di tutti i condannati, esposti al contrario a quel trattamento inumano e degradante del quale ha dato cruda esemplificazione la lettera citata dal presidente Mattarella. Questo credo che sia il vero scandalo, questa la “resa dello stato”. Se, invece, con un provvedimento responsabile, il governo riconoscesse la tragedia in atto e varasse subito provvedimenti di clemenza condizionati e generalizzati o incrementasse in maniera consistente la liberazione anticipata in favore dei soli condannati meritevoli, si ridarebbe non solo immediato respiro alle strutture carcerarie, ma si farebbe un atto di giustizia riparatrice e si porrebbe in essere un atto di lealtà istituzionale.

Francesco Petrelli - presidente dell’Unione delle camere penali italiane