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Rapporti alla mano /17

In attesa di giudizio: a quanto ammontano i tempi della Giustizia in Italia

Sabino Cassese

Giustizia ritardata è giustizia negata, sosteneva un politico inglese a fine '800. Sembra l’Italia di oggi. Gli arretrati, i processi, il rapporto con il Pnrr e il digitale: lievi miglioramenti ma ancora un confronto impietoso con gli altri paesi

“Justice delayed is Justice denied”. Questa massima, già ben nota prima, fu adoperata da quel grande politico inglese, primo ministro per 12 anni e a lungo cancelliere dello scacchiere, che ha costruito l’esecutivo inglese, alla fine dell’Ottocento, William Ewart Gladstone. Se fosse interamente vera, dovremmo riconoscere che in Italia non c’è giustizia.

I tempi della giustizia civile in Italia

Quali sono i dati statistici per il nostro paese? Isotta Valpreda, il 28 giugno 2024, ha scritto per l’Osservatorio sui conti pubblici italiani – Ocpi, una breve e compendiosa analisi intitolata “I tempi della giustizia civile si sono ridotti grazie al Pnrr?”. Ha osservato: “Dal 2010 al 2018, la durata dei processi civili che arrivano al terzo grado di giudizio è scesa da otto anni e due mesi a sette anni e tre mesi, restando comunque più alta di quella degli altri principali paesi europei. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si propone di ridurre, entro giugno 2026: (i) del 40 per cento la durata media di tali processi, rispetto al 2019; e (ii) del 90 per cento il numero dei processi pendenti a fine 2022 (se originati dopo il 2016 per i Tribunali e 2017 per le Corti d’appello).
 

Per raggiungere questi obiettivi, sono previste riforme quali la digitalizzazione dei processi, la promozione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie e il miglioramento delle  procedure esecutive e tributarie. Tuttavia, finora il calo nella durata osservato tra il 2019 e il 2023 è stato solo del 17 per cento e se la riduzione procedesse allo stesso passo nel 2024-25, il calo complessivo sarebbe solo del 24 per cento, ben al di sotto del target del 40 per cento. Nella riduzione dei casi pendenti gli andamenti sono più favorevoli: al 2023, la riduzione per i pendenti iscritti presso i Tribunali tra il 2017 e il 2022 è stata del 50 per cento e quella presso la Corte d’appello tra il 2018 e il 2022 del 43,4 per cento, un buon risultato in un anno, quando ancora ne restano due per il raggiungimento della  riduzione del 90 per cento”. Insomma, ci vorranno ancora più di cinque anni per avere una decisione giudiziaria definitiva e – cosa singolare – riduzione dei tempi dei processi, riduzione dei casi pendenti e riduzione degli arretrati sembrano non procedere di pari passo.

Il monitoraggio statistico degli indicatori Pnrr da parte del ministero della Giustizia

Può essere allora utile esaminare i dati pubblicati dal  ministero della Giustizia, dipartimento per la transizione digitale della giustizia, l’analisi statistica e le politiche di coesione, direzione generale di statistica e analisi organizzativa, nella Relazione sul monitoraggio statistico degli indicatori Pnrr - anno 2023, pubblicata il 19 aprile 2024. Lì si può leggere che “per il settore civile, i dati del 2023 segnalano la seguente riduzione rispetto alla baseline 2019 -17,4 per cento del disposition time totale. Il miglioramento è apprezzabile in tutti i gradi di giudizio, a partire dalla Cassazione che fa registrare una riduzione del 23,0 per cento. […] Il disposition time calcolato sull’intero anno risente del fisiologico rallentamento dell’attività definitoria durante il periodo feriale. Alla stagionalità dell’indicatore è imputabile la variazione più ridotta del Dt rispetto alla baseline in confronto a quella osservata nel I semestre dell’anno. Ne è evidenza il fatto che la riduzione annuale, del 2023 rispetto al 2022 (-6,3 per cento), sia coerente e anche più elevata di quella registrata confrontando il I semestre del 2023 con il I semestre del 2022 (-1 per cento).  Nell’anno la variazione del Dt è stata maggiore nei Tribunali (-8,7 per cento, in lieve accelerazione rispetto al periodo precedente), rispetto alla Corte di appello (-5,5 per cento) e alla Cassazione (-5,6 per cento). Dopo il lieve incremento osservato nel 2022, nel 2023 il Dt della Cassazione è ritornato ai livelli del 2021”.  Per il lettore: Disposition time è un dato prospettico,  la misura di tempo prevedibile di decisione che si ottiene confrontando le pendenze di fine anno con il flusso dei procedimenti definiti nell’anno.
 

I tempi della giustizia e i settori

È molto importante considerare i settori e le materie dove si forma l’arretrato. Questo, nelle corti di appello e nei tribunali, è concentrato nelle materie dei contratti, delle controversie di diritto amministrativo e su leggi speciali, della responsabilità extracontrattuale, del lavoro e dei diritti reali, mentre una parte molto limitata è occupata da materie come successioni, locazioni, separazioni e divorzi, diritto di cittadinanza, protezione internazionale, equa riparazione.

I tempi della Corte di Cassazione

Esaminiamo ora più da vicino i dati relativi alla Corte di Cassazione. La durata media effettiva dei procedimenti civili alla Corte di Cassazione  è di tre anni e mezzo. Il paradosso è che si riduce l’arretrato, ma aumentano le nuove iscrizioni, e cioè i ricorsi. Si aggiunga che il 43 per cento dei ricorsi è costituito dal contenzioso tributario, che aumenta del 36 per cento e la cui durata media è di quattro anni e 8 mesi. Cosa ancora più grave è che misure deflattive sono state adottate, anche in virtù del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, ma si sono rivelate scarsamente efficaci. Tra queste il processo telematico, il filtro per inammissibilità, improcedibilità e manifesta infondatezza, le decisioni in camera di consiglio. Quindi, anche gli interventi del Piano nazionale di ripresa e di residenza hanno fatto registrare modesti miglioramenti dell’andamento delle decisioni nella Corte di Cassazione.
 

I confronti che ci accusano

Per capire come stanno le cose, bisogna guardarsi in giro, e per farlo occorre utilizzare i dati raccolti dalla Cepej, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia. Questa è stata istituita dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel settembre 2002 con il compito di proporre soluzioni concrete per gli Stati membri del Consiglio d’Europa e di promuovere una migliore organizzazione della giustizia, per tener conto dei bisogni degli utenti e contribuire a prevenire le violazioni dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e così ridurre la congestione della Corte europea dei diritti dell’uomo. Composta di esperti dei 46 membri del Consiglio d’Europa, ha iniziato nel 2004 a valutare ogni due anni i sistemi giudiziari dei membri del Consiglio d’Europa e di alcuni paesi con lo stato di osservatori. Ha pubblicato l’ultimo rapporto nel 2022, con dati che risalgono al 2020: si tratta del nono ciclo di valutazione biennali e può aiutare a capire comparativamente dove stanno i problemi.
L’elaborazione dell’Osservatorio dei conti pubblici italiani sui dati della Cepej mostra, in termini comparativi e su base pluriennale, per il decennio 2010-2020, lo stato costantemente critico della giustizia italiana
. Questa impiega un tempo da due a sei volte maggiore della giustizia francese, di quella tedesca e di quella spagnola.

Due esempi stranieri, d’oltreoceano

Può essere interessante ricordare due esempi stranieri, relativi il primo agli Stati Uniti d’America, il secondo al Canada. Negli Stati Uniti, nel 1974 fu adottato lo “Speedy Trial Act”, che stabilisce i requisiti di tempo per le decisioni giudiziarie penali. Nel 1990 fu approvata una legge per ridurre i tempi della giustizia, con il risultato che le corti federali raggiungono normalmente una decisione in un arco di tempo di un anno-un anno e mezzo. Più drastica la soluzione adottata nella provincia del Quebec, dove è stata approvata una norma che prevede che la decisione giudiziaria debba essere presa entro sei mesi dall’inizio della procedura. È una norma che non sempre viene rispettata, ma che costituisce un forte stimolo alla rapidità delle decisioni giudiziarie.
 

Che fare?

La riforma della giustizia è stata affrontata in Italia in molti modi, come l’avvio delle procedure relative alla separazione delle carriere o le norme sulla limitazione delle intercettazioni, ma il compito fondamentale di una riforma della giustizia dovrebbe essere quello di ridurre i tempi dei processi. I rimedi sono molti e numerosi di essi sono stati anche sperimentati, ma, per coordinarne l’azione e tenere vivo il processo riformatore, manca una centrale, al ministero della Giustizia, dotata di esperti di statistica e di organizzazione, che non solo introducano “best practices”, ma che ne seguano il percorso e cerchino anche di stimolare la competizione tra i vari organi giudiziari. La giustizia è uno dei campi a cui si applicherebbero con maggiore facilità i princìpi di quella che uno studioso e operatore francese, Gabriel Ardant, chiamò, in un suo libro intitolato “Technique de l’État”, “concurrence sur papier”, cioè esame comparativo degli andamenti per tribunale, in modo che dalla comparazione vengano sia correzioni ai piani di riforma, sia stimoli alla competizione.