Voyeurismo e oscenità

La confessione sul caso Verzeni, il compagno assediato e tutti i segnali della gogna

Giandomenico Caiazza

Dopo mesi di indagini e sospetti mediatici su Sergio Ruocco, il partner e convivente della vittima, il vero assassino della barista 33enne di Terno d'Isola è stato finalmente identificato. E solleva così l'uomo da accuse ingiuste che rischiavano di rovinargli la vita

Per fortuna, il misterioso omicidio di Sharon Verzeni ha infine trovato la sua soluzione. E’ una fortuna per tutti noi, lo è innanzitutto per i familiari della sventurata ragazza, che almeno hanno avuto una risposta ai loro angosciosi dilemmi. Ma è una fortuna soprattutto per Sergio Ruocco, il compagno di Sharon. Avrete infatti notato che una unica certezza ha accompagnato le cronache giudiziarie in questi mesi, così impegnate a raccontare quotidianamente quel misterioso omicidio: i sospetti sul partner della vittima.

Chiunque abbia seguito le cronache di questa tragica vicenda ha sempre dovuto leggere l’incessante riferimento ai sospetti su di lui. Che dormiva, al momento dell’omicidio, e che è da sempre assistito, come inutilmente hanno fatto trapelare gli inquirenti, da un alibi di ferro. Niente da fare. La notizia, immancabile, di quelle cronache, era: anche oggi, nulla a carico del compagno di lei. E’ un caso affascinante, da un punto di vista della tecnica mediatica, un caso che andrà studiato. Perché se ogni giorno – ma davvero: ogni giorno! – scrivi che l’alibi del convivente continua a tenere, che è stato interrogato per ore e ore, ripetutamente e fino a notte fonda, nella caserma dei Carabinieri, ma “come persona informata sui fatti” e niente, ciò nonostante l’alibi regge, vuol dire che tu non credi all’alibi, che lui è il candidato naturale a rivestire il ruolo dell’assassino, il più ragionevole, il più razionale, il più sensato, e che se fino a oggi l’ha fatta franca, diamoci tempo e pazienza e vedrai che alla fine l’uomo cederà. D’altronde, ci sarà pure qualche ragione se lo hanno torchiato per ore e ore, ripetutamente, o no?  

Queste narrazioni popolari iterative, questi appuntamenti quotidiani che coltivano la speranza di una improvvisa, tranquillizzante soluzione di un crimine efferato, esigono una conclusione. Non è pensabile che non si trovi il colpevole, non possiamo e non vogliamo accettare che il colpevole non sia infine assicurato alla giustizia. Perciò, mentre sei costretto a raccontare che, al momento, abbiamo un pugno di mosche in mano, l’immancabile accenno all’alibi del compagno che “anche oggi tiene” ci apre il cuore alla speranza. Insomma, è un formidabile caso di ripetizione ossessiva di una informazione (“non è indagato”), che produce l’effetto opposto: il rafforzamento del sospetto. Qui non viene fuori un sospetto, una traccia, un movente, e che diavolo! E’ così facile sospettare che sia lui, che è bene non far raffreddare questa così agevole ipotesi. In genere, in questi omicidi, il compagno è il naturale protagonista, aspetta e vedrai.  “E’ tornato al lavoro”, e chissà come lo avranno accolto i colleghi di lavoro. E’ stato sentito di nuovo dagli inquirenti, “ancora una volta senza avvocato, come persona informata sui fatti”. Ancora una volta, certo: ma, detto tra di noi, portate pazienza. Prima o poi crolla, e noi ci mettiamo tranquilli. Per fortuna c’è un assassino confesso. Per fortuna del povero compagno di Sharon, povero ragazzo, che ha rischiato, e forse nemmeno immagina quanto, di vivere una tragedia nella tragedia.

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