l'intervista

"Così sul caso dei neonati sepolti abbiamo evitato il circo mediatico". Parla il procuratore di Parma

Ermes Antonucci

Alfonso D'Avino, capo della procura che ha condotto l’inchiesta sul caso dei neonati uccisi a Traversetolo da una ragazza 22enne: "Indagare una persona non significa che questa debba essere messa alla berlina. Abbiamo seguito la direttiva sulla presunzione di innocenza, che condivido"

“Come cittadino, ancor prima che come magistrato, mi fa male vedere che un sospettato e la sua famiglia vengano aggrediti in maniera continua dai giornalisti. Sono contento quindi che con la nostra condotta abbiamo impedito almeno per un mese che la famiglia di Chiara venisse aggredita. E parlo di una persona per la quale noi avevamo chiesto il carcere, quindi non siamo stati teneri. Ma un conto è la risposta giudiziaria, un altro è abbandonare quella persona alla mercé del circo mediatico”. A parlare, intervistato dal Foglio, è Alfonso D’Avino, procuratore di Parma, che ha condotto l’indagine sul caso dei neonati uccisi a Traversetolo da una ragazza 22enne, Chiara, ieri posta ai domiciliari. 

 

Per oltre un mese (dal 9 agosto, data del ritrovamento del primo neonato nel giardino della ragazza, al 16 settembre), il procuratore D’Avino è riuscito a tenere la vicenda lontano dai riflettori nazionali, permettendo a procura e investigatori di lavorare con tranquillità e serenità. Soltanto il 16 settembre, appunto, D’Avino è intervenuto con un comunicato in cui si davano le prime informazioni sulla vicenda, richiamando nella prima parte l’importanza del rispetto del segreto delle indagini e della presunzione di innocenza delle persone coinvolte. “Ho scritto il comunicato perché c’era stata una fuga di notizie, tant’è che una delle trasmissioni più in voga, ‘Quarto grado’, aveva annunciato rivelazioni clamorose sul rinvenimento di un secondo piccolo cadavere”, racconta D’Avino.

 

“Da lì si è scatenata una prima tempesta mediatica su questa vicenda che fino a quel momento ero riuscito a tenere sotto controllo, senza far trapelare nulla, nell’interesse sia dell’indagine sia delle persone coinvolte. Al di là delle responsabilità penali, che dovranno essere accertate, ci tenevo a che si evitasse quell’assedio che caratterizza questo tipo di trasmissioni con telecamere e taccuini che circondano le case delle persone sospettate. Tutto ciò toglie tranquillità alle indagini. Questo ho voluto evitare per tanto tempo. Quando ho capito che stava per iniziare questo tran tran ho deciso di intervenire”.

 

Nel 2021, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo sulla presunzione di innocenza, ho adottato una direttiva per stabilire le modalità di comunicazione e di redazione dei provvedimenti, perché ci tenevo che venissero osservate quelle disposizioni che l’Ue ci chiedeva di rispettare – prosegue il procuratore di Parma – I comunicati vengono tutti passati al mio vaglio. Le conferenze stampa, poche per la verità, le faccio io. Evitiamo di denominare le operazioni in modo enfatico (ad esempio ‘Camici sporchi’). Nei provvedimenti poi cerchiamo di calibrare le parole per evitare frasi roboanti e autocelebrative, e usiamo sempre il condizionale (‘avrebbe fatto’, ‘avrebbe detto’)”.

 

La legge che recepisce la direttiva sulla presunzione di innocenza è stata criticata da molti organi di informazione, ma anche da diversi suoi colleghi magistrati. Lei, procuratore D’Avino, sembra invece averla recepita in maniera tranquilla. “Assolutamente sì. Intanto la legge c’è e i magistrati la devono rispettare. Ma io ne condivido anche i contenuti. Tutelare l’immagine di una persona non significa favorirla sul piano penale. Indagare una persona non significa che questa debba essere messa alla berlina”, dice D’Avino. “Se siamo riusciti a portare avanti i delicati accertamenti che il caso richiedeva è stato proprio grazie al basso profilo tenuto. Poi da quando si è scatenata la tempesta mediatica, la villa è stata letteralmente accerchiata”. 

 

“Abbiamo tenuto la conferenza stampa ieri solo dopo che il gip ha adottato la misura cautelare degli arresti domiciliari, valutando tutto il materiale che abbiamo messo a disposizione. Anche la difesa è stata informata di volta in volta dei vari passaggi, partecipando anche ad alcune operazioni come ispezioni e sequestro. Quando la misura viene eseguita e non c’è violazione del diritto di difesa, allora la comunicazione diventa lecita, anche se deve essere sempre  contenuta”, spiega D’Avino. “Un conto è l’informazione, che dobbiamo dare. Un altro è il processo mediatico, che spesso rischia di influenzare il processo penale”. Pensa quindi che tutte le procure dovrebbero agire secondo questi princìpi. “Certo”, replica il procuratore. 

 

Lei sa che in questo modo si rende antipatico a quei giornalisti che si riforniscono di notizie dalle procure o dalla pg? “Certo che lo so”, replica D’Avino. “Lo dimostra il fatto che voi avete pubblicato la parte del mio comunicato sulla presunzione di innocenza, ma la stampa locale l’ha completamente pretermessa e censurata. Ma a me non importa perché tanto non lavoro nella pubblicità”. “Le racconto anche un aneddoto. Nel 1994 ero pm a Napoli e arrestammo l’allora ministro della Sanità De Lorenzo. Il procuratore Cordova ci disse che quando veniva arrestato qualcuno non voleva vedere telecamere e giornalisti fuori dall’ufficio. Dunque arrestammo De Lorenzo senza che nessun giornalista assistesse alla scena. Il giorno dopo qualche giornale locale, per dispetto, scrisse ‘il pm Triassi arresta De Lorenzo’, pur sapendo benissimo che Triassi era il gip. Abbiamo fatto una Tangentopoli nel silenzio più assoluto”. A differenza di qualche suo collega... Il procuratore D’Avino risponde con una lunga risata.
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]